Parrocchia angelodiverolaSan Lorenzo Martire in Verolanuova

Arcangelo Tadini


Canonizzato il 26 Aprile 2009 da Benedetto XVI
Proclamato Beato il 3 ottobre 1999 da Giovanni Paolo II



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Biografia Minima

da: "Don Arcangelo Tadini
e la sua Opera Sociale"
Luigi Fossati - 1977

La Vita

Le Opere

Apostolo del mondo del lavoro

Un carisma per il nostro tempo

La spiritualità del Tadini

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Home Tadini

www.verolanuova.com


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La vita

La famiglia del Fondatore
Don Arcangelo Tadini nacque a Verolanuova
(provincia di Brescia) il 12 ottobre 1846,
da Pietro e Antonia Gadola;
fu battezzato nella chiesa prepositurale
di S. Lorenzo martire, il 18 ottobre 1846,
avendo a padrini
Giambattista Scolari e Caterina Gadola.
I Tadini erano nobili, come dimostra lo stemma
sull’architrave della casa natale,
simile allo stemma dei Tadini di Crema,
dai quali discendono i Tadini di Brescia.

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La Casa Natale a Verolanuova (Brescia)


Suo padre Pietro era nato a Brescia nella parrocchia di S. Agata il 15 febbraio 1790.Prima del 1819 si era portato a Verolanuova ove era diventato segretario comunale. Il 6 agosto 1819 sposò a Verolanuova Giulia, nata il 28 settembre 1801, appartenente alla nota famiglia Gadola di Pontevico: Giulia morì ancora molto giovane, a ventotto anni, dopo di aver lasciato viventi sette figli. Pietro tentò per nove anni di guidare la sua famiglia, aiutato dalla cognata, ma alla fine pensò che era meglio sposare la sorella della defunta sposa e dare, nella zia, una seconda madre ai suoi figli. Il10 luglio 1838, Antonia, all’età di trentadue anni, sposava Pietro Tadini. Questa fu la madre del Fondatore. Da Antonia Pietro ebbe altri quattro figli; l’ultimo di undici fratelli fu don Arcangelo Tadini.

Il padre del Fondatore fu un patriota, che all’epoca delle guerre per l’indipendenza italiana fece del suo meglio per aiutare la patria; e la madre Antonia, nel ‘48, divenne infermiera dei feriti, ospitati nella chiesa vecchia di Verolanuova, per cui più tardi ricevette una medaglia d’argento.
Il padre morì il 1° gennaio 1860, dieci anni prima dell’ordinazione sacerdotale del Fondatore, all’età di settant’anni. La madre morì il 23 dicembre 1880, dieci anni dopo l’ordinazione del figlio, all’età di settantaquattro anni.
Tre dei figli Tadini, frequentato il ginnasio di Lovere, entrarono in seminario: Alessandro, il più vecchio, compagno di Tito Speri, espulso con lui dal seminario, forse per gli stessi motivi politici; don Giulio, morto nel 1909, vicario foraneo di Oriano, spirito tranquillo, grandemente caritativo, che lasciò grato ricordo di sé, e finalmente il nostro Fondatore.

L’infanzia

Quando egli nacque, la madre Antonia Gadola, che era sempre stata malaticcia, risanò e, da allora, visse lungamente in buona salute. Il Fondatore ebbe sempre una salute assai delicata, tanto che all’età di due anni si temette dovesse morire.
Frequentò le elementari fino ai dieci anni circa a Verolanuova. Verso il 1855-56 passò al ginnasio di Lovere dove studiavano i suoi fratelli. La prima messa del fratello don Giulio e la sua casa di Verola, convertita in oratorio festivo, fecero crescere nell’anima di Arcangelo la vocazione sacerdotale, nata già alla fine delle elementari e mai spenta durante il ginnasio.

Erano tempi in cui l’anticlericalismo faceva strage, soprattutto nella classe civile e benestante a cui appartenevano i Tadini. Don Arcangelo, anziché lasciarsi impressionare da quelle critiche e da quelle opposizioni, per reazione sentì accrescersi l’attaccamento alla Chiesa. " Fu allora che mi decisi di farmi chierico", dirà in una delle sue prediche.

Il Seminario

Entrò in seminario nel 1864. Non sappiamo quasi nulla della sua vita seminaristica. Sappiamo che compì i suoi studi ottimamente; che era esemplare per pietà e obbedienza.

Un incidente doveva avere gravi conseguenze per tutta la vita. Per una caduta si rovinò il ginocchio destro, in modo che gli rimase rigida la gamba. Sarà costretto a camminare zoppicando, appoggiandosi più tardi a un bastone che, negli ultimi tempi, non potrà più abbandonare.
Finiva i suoi studi teologici nel giugno del 1870.Il vescovo mons. Verzeri era assente da Brescia; e allora don Arcangelo, non sappiamo se da solo o con altri, fu ordinato sacerdote da Sua Altezza Benedetto Riccabona De Reichelfels, principe vescovo di Trento, il 19 giugno 1870. Celebrò la sua prima messa il 26 giugno 1870, a Verolanuova, giorno di S. Vigilio.

Usciva dal seminario pieno di sacro entusiasmo. L’amore alla Chiesa e al Papa, che alimenterà la pietà in forma caratteristica a tutti questi sacerdoti che avevano visto il ‘70 o ne avevano subito gli immediati contraccolpi, mentre lo irrigidiva in posizione di assoluta fedeltà senza compromessi di fronte ai diritti della Chiesa, non lo costringeva sulla pura difensiva, ma lo spingeva alla scoperta di mezzi nuovi, per l’apostolato nuovo, dei tempi nuovi.

Il vicario cooperatore e il parroco

Dal giugno 1870 al giugno 1871 rimase a casa; poi fu destinato a Lodrino, in Valtrompia, ove fece anche scu1ola, dal 25 giugno 1871 al 30 maggio 1873. Poi venne trasferito alla Noce, allora frazione di S. Nazzaro, in Brescia, e fu il primo sacerdote residenziale. Con lui la Noce vide iniziare le funzioni che di solito si compiono nelle parrocchie: ingrandì due volte la chiesa, eresse il fonte battesimale, attirò folla con la sua nutrita predicazione. L'erezione del fonte battesimale fece nascere delle incresciose questioni che minacciarono di cadere nel tragico.

La sua attività, la dedizione totale al bene delle anime, il coraggio dimostrato in varie riprese, lo spirito di iniziativa, la fama di predicatore, suggerirono ai superiori di affidargli un altro campo di apostolato a Botticino Sera.

La situazione a Botticino era di una delicatezza particolare. In un secolo, precisamente dal 1786 al 1886, vi erano stati solamente tre parroci che avevano retto la parrocchia con criteri negativi. Ai problemi nuovi che, impetuosi e irruenti, già da un secolo irrompevano un po’ dappertutto, non avevano risposto in nulla. Il primo aveva contrastato con la rivoluzione francese e il dominio napoleonico; il secondo con una banda di ladri e rapinatori; il terzo con le nuove idee liberali. L’attività cattolica di Botticino si era esaurita nella costruzione della sua stupenda chiesa, finita nel 1832 e consacrata nel 1866; ma la vita cristiana languiva e minacciava di disertare la chiesa di recente costruita. Così, quando nel 1885 venne don Arcangelo Tadini, non trovò né oratori, né suore, né istituti di assistenza, né congregazioni, né fervore di funzioni. Una massa caotica di frutticoltori, più che di vignaioli come diverranno più tardi, frequentava la chiesa senza entusiasmo: buona gente, ma non coltivata.

Quando il 29 novembre 1885 don Tadini si portò a Botticino come curato dell’infermo parroco don Cortesi, iniziò tutte le attività parrocchiali; fino a che nel 1886, il 26 novembre, alla morte del Cortesi venne nominato economo spirituale. Il 20 luglio 1887 gli giunse, ai fanghi di Abano, la nomina ad arciprete di Botticino.

Il predicatore

Una delle attività più importanti di un prete è la predicazione. Il Tadini, oratore nato, si manifestò tale fino dai primordi del suo ministero. Sulle sue doti oratorie il consenso dei suoi uditori è unanime. Aveva una voce forte, squillante. "Quando le finestre della chiesa erano aperte lo si sentiva alla Casella ", dice un testimone.
"Per quanto predicasse sempre, tutte le volte che lo si ascoltava, sembrava di udire un predicatore sempre nuovo", dice un secondo. " Nella predicazione faceva piangere perché sapeva commuovere: in vita mia non ho più sentito predicare con un fascino e una compunzione tale ", dice un terzo. " Faceva rizzare i capelli dalla paura ", commenta un quarto.
Il contenuto della sua predicazione era sodo per dottrina e per ortodossia. Soprattutto era il moralista che richiamava il suo popolo a una vita onesta e cristiana. Quando predicava l'arciprete accorrevano tutti. E sono rimaste impresse nella mente dei più anziani la predica dei morti al cimitero, il mese di maggio e la predica del venerdì santo. Erano avvenimenti.
" Una volta in una sua predica parlando della sua parrocchia disse che si immaginava una grande scala che andava da Botticino al cielo, sulla quale Egli vi potesse portare tutto il suo gregge. E con la parola fu potente ed efficace ".

L’apostolato dei fanciulli

Il Tadini è uno dei pionieri dei nuovo apostolato pastorale, fatto di rinverdite tradizioni, ma soprattutto di iniziative nuove che fermentassero la popolazione, la elettrizzassero, la entusiasmassero.
Così per ogni età ebbe iniziative nuove, come per i nuovi tempi fece nascere istituti nuovi, e per la comunità intera una nuova vita. Ebbe dinanzi a sé tutto l’uomo da condurre a Dio: dall’infanzia alla vecchiaia, dalla nascita alla morte.
Per ‘l’infanzia organizzò la festa della prima comunione. Mentre per noi è una ricorrenza abituale, per quei tempi era una novità assoluta. E i più vecchi ne parlano ancora con emozione. Fra tanta gioia pasquale germogliano le prime comunioni, numerosi come i fiori dei mandorli e dei peschi, rinati all’aurora primaverile. La festa delle prime comunioni a Botticino ebbe luogo nella chiesa vecchia. Nei ricordi dei più anziani quella cerimonia dei ‘catechismi di preparazione, agli esami, alla confessione, alla comunione, rimase viva a lungo e nostalgicamente conservata nella memoria come uno dei fatti più cari dell’infanzia.

Per l’insegnamento del catechismo ai fanciulli introdusse una grande novità per allora, le proiezioni luminose, istituita da mons. Angelo Zammarchi. Aveva una cura speciale per la salute dei fanciulli e senza mai sostituirsi ai sanitari, dava molti consigli soprattutto di igiene. Si interessava dei loro studi e si soffermava sovente in mezzo a loro. Purtroppo non fu coadiuvato in tutto questo lavoro dal clero, il quale, invece di aiutarlo, gli sollevò varie difficoltà.

L’apostolo delle anime

Così portava i bambini e i ragazzi alla soglia della giovinezza e li seguiva sempre come un padre austero e buono. Della gioventù femminile si occupò con molto tatto e con varie iniziative. E. non poteva essere altrimenti. Ogni prete sente che la questione della donna è intimamente legata a quella della famiglia e che questa sta al centro della società, di cui è cellula. Il Tadini si mostrò un severissimo tutore della dignità della donna. Fu fondatore dell’oratorio femminile che inaugurò solennemente: diede una divisa bianca e celeste a tutte le ragazze del paese e le affidò all’Immacolata Concezione; dettò regole che, se oggi possono sembrare strette, allora educarono tutta la gioventù femminile del paese ad un autentico cristianesimo. La predica domenicale, i ritiri mensili, gli esercizi spirituali, qualche piccola festa, specialmente al tempo di carnevale, le osservazioni e i richiami privati furono i mezzi e i modi della sua educazione.

Per i giovani iniziò una specie di oratorio; perché un vero oratorio non lo poté organizzare per mancanza di collaborazione. Coltivò in modo particolare i chierichetti del servizio ‘divino, alcuni dei quali avviò alla carriera ecclesiastica. Soprattutto assisteva i giovani nella scelta dello stato, della professione, e quando poteva li aiutava. Lunghe ore di confessionale furono spese per questa formazione. Soprattutto diventava paterno quando si trattava di fidanzamenti in preparazione alle nuove famiglie, seguite da lui sempre nelle loro fortunose e non facili vicende. Ma in modo speciale era al capezzale degli infermi ove si mostrava la sua paternità. Così il buon Pastore pasceva le sue pecorelle dalla culla alla tomba.

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Le opere

Don Arcangelo Tadini non si accontentò
di chiamare le anime, di assisterle spiritualmente;
volle suscitare tutta una serie di opere
che organizzassero la parrocchia
e le dessero un fremito di vita.

Il Tadini era un grande organizzatore.
In lui era un succedersi di progetti,
un tentare cose nuove, un sognare continuamente,
un realizzare il realizzabile.

Quest’uomo taciturno popolava la sua mente,
i suoi ritiri in Canonica, i suoi raccoglimenti da anacoreta,
i suoi silenzi lungo la via, di opere infinite varie
delle quali ‘la limitazione delle finanze e della salute
gli impedirono di realizzare pienamente.

Ma molte ne sorsero e rimasero.

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La Casa Madre delle Suore
Operaie a Botticino (Brescia)

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E’ naturale che sorgessero opposizioni. Tanto più che il carattere dell’arciprete era rettilineo, energico, non ammetteva repliche. Se lo seguivano accettava la collaborazione, altrimenti camminava da solo, zoppicando; ma andava. Un parrocchiano che lo conobbe bene disse di lui: "Il Tadini era un uomo che chissà quale meccanismo aveva in testa. Chi sapeva che cosa continuava a pensare? Era sempre il moto perpetuo ". Avrebbe voluto che la sua parrocchia offrisse alle sue anime tutto ciò che esse desideravano in modo che si andasse fuori paese il meno possibile.

Riorganizzò le figlie di Sant’Angela per le donne, e le figlie di Maria per le ragazze. Per le donne e per gli uomini fondò, secondo i canoni della chiesa, le Congregazioni del SS. Sacramento, che non c’erano più. E per gli adulti ‘che volevano dedicarsi a vita di pietà fondò il terz’Ordine francescano. Perché tutti gli uomini sentissero, la sua parola, li tratteneva alla terza del mese in chiesa, ove di solito parlava contro la bestemmia, ‘l’abuso dell’osteria, e il ballo. Soprattutto si preoccupò di far santificare la festa. Erano tempi in cui tutti venivano alla dottrina, attratti dalla sua parola, e in cui, ‘al tempo della dottrina, si chiudevano ‘le osterie. Ma perché il popolo amasse la sua parrocchia e non lasciasse il paese, organizzò in modo grandioso, varie feste lungo l’anno: la festa d’ella Madonna Addolorata per le mamme, la festa delle Palme, le Quarantore, le feste di San Luigi, la processione al cimitero alla sera dei santi, i Tridui con quel gran macchinone che andava fin sotto il volto della chiesa e destava sempre meraviglia.

Paramenti nuovi, addobbi, arcate in chiesa e in paese costituivano una caratteristica di questi " Festoni ", come si dicevano allora. Per questo restaurò nel 1893 l’organo, istituì la scuola di canto diretta da lui, introdusse il canto gregoriano sconosciuto prima, insegnò a diversi a suonare l’armonium; e soprattutto nel 1892 fondò il corpo bandistico in paese, che sollevò tanto entusiasmo e ottenne il secondo premio nel concorso bandistico del 1896 in occasione dell’incoronazione della Madonna delle Grazie. Nel 1893 restaurò la facciata della chiesa, e rinfrescò tutto l’interno deperito dal tempo della costruzione della chiesa; distrutta per un incendio la pala, forse del Campini, ne fece fare un’altra da un pittore di Verolanuova, il Galperti.

A queste opere strettamente parrocchiali il Tadini aggiunse tutta una serie di opere assistenziali del paese. Tentò di organizzare, senza riuscirci, una linea tranviaria che congiungesse Botticino a Sant’Eufemia: si capisce, tram a cavalli, come tutti gli anziani ricordano da Sant’Eufemia a Brescia.
Nel 1893 venne da lui fondata la società di Mutuo Soccorso. E da ultimo, per impedire che l’e ragazze uscissero di paese in cerca di lavoro, ecco la fondazione della filanda. E con la filanda incominciò il calvario per il povero arciprete.

La Filanda

Botticino, paese di piccoli coltivatori e di numerosa prole, vedeva molto spesso la gioventù esulare dal paese in cerca di lavoro. Così anche le ragazze andavano fino a Lonato a lavorare in una filanda. Tadini non poteva sopportare tutto quel disagio: " Mi è di grande dolore veder partire le mie figliole. Mamme, se appena potete, tenetele a casa; pazientate e vi prometto che penserò qualche cosa per rimediarvi ". Gli venne l’idea, grandiosa per quei tempi, di costruire una filanda nuova. Coltivò l’idea e passò all’attuazione. Fece da ingegnere, da direttore dei lavori, da amministratore. E sorse la filanda. Ma quante opposizioni e quanti dolori costò questo fabbricato all’arciprete, che aveva avuto di mira solo il bene del paese e non il proprio interesse. Venne imbrogliato da molti, tanto che consumò il suo intero patrimonio privato in quell’impresa: e gli rimase ancora un largo debito che costituì il suo cruccio per tutta la vita.

Nel 1898 la filanda si apriva e vi entrarono a lavorare tutte le ragazze dei paese e ne richiamò altre dei paesi vicini. Bisognava collocare queste giovani in un pensionato o in un alloggio per non costringerle al viaggio di sera e di mattina presto.
Ed ecco allora l’intrepido arciprete affrontare un’altra opera non meno grande della prima: la compera della villa estiva dei nobili Mazzola con tutti i terreni annessi.
Nasceva così il convitto operaio affidato a dirigenti laiche con regole dettate dal Fondatore. Era il più bel commento alla famosa " Rerum Novarum " che tanto entusiasmo aveva suscitato nell’animo del Tadini.

La fondazione delle Suore Operaie

Il Fondatore a un certo momento pensò che, tanto in filanda quanto nel convitto, sarebbe stata ottima cosa che ci fossero delle suore. E propose a varie congregazioni religiose di assumerne l’assistenza. Ebbe rifiuti dappertutto. Quando gli venne la proposta da un padre gesuita, bresciano, Maffeo Franzini, di fondare una congregazione di suore operaie il Tadini colse a volo l’idea meravigliandosi quasi di non averla avuta prima. Ed ecco nata la nuova congregazione: che è e rimane la più grande opera di Tadini: è e rimane la più grande opera di Botticino, perché il nome del paese è ricordato ovunque si trovano le suore operaie che guarderanno sempre a Botticino come alla culla della loro congregazione.

Non si può immaginare quanto costò al Fondatore la nuova Opera.
Nel 1900 si raccoglievano le prime dieci suore sotto la direzione di Madre Nazarena Maffeis prima e di madre Chiara Febbrari dopo e iniziavano il loro apostolato. Le difficoltà che le suore e il Fondatore dovettero incontrare furono parecchie e talune veramente tragiche.

Vennero difficoltà in primo luogo da parte di chi criticava la finalità della nuova istituzione. Non si riteneva opportuno che delle religiose fossero operaie, perché si riteneva questa missione poco conforme all’abito, piena di pericoli, non confacente alla ritiratezza religiosa. Questi pregiudizi rimasero a lungo in alcuni sacerdoti che avevano autorità in convento, morto il Fondatore, e che avrebbero voluto cambiare finalità alla novella congregazione. Ma il Signore, mediante la Compagnia di Gesù, che sempre protesse l’istituzione delle suore operaie, non permise che si alterassero le linee primitive dell’opera.
Altre difficoltà vennero da alcune prime suore che, poco avendo approfondito lo spirito della nuova congregazione, e per troppa indipendenza di giudizi o di critica, gettarono per un certo tempo il malumore fra le prime compagne, senza riuscire a nulla.

Difficoltà gravi vennero dallo stato di salute di alcune consorelle che si accoglievano con facilità dato l’entusiasmo degli inizi, e ammalatesi, paralizzavano la vita della nuova istituzione che aveva soprattutto bisogno di elementi sani per il lavoro, spesso molto pesante.

Tutta una gravissima serie di difficoltà venne dalla situazione economica del Fondatore, in un certo momento all’orlo del fallimento. Le economie che il Fondatore e le suore dovettero fare in quei momenti furono veramente eroiche: nel vitto, nel vestito, nel modo di vita. Il sistema vegetariano, non imposto, ma largamente usato, anche come imitazione del superiore che lo praticava rigorosamente, provocò una visita apostolica da Roma che cercò di fondere la nuova istituzione con le Ancelle della Carità di Brescia. Ma la divina provvidenza non permise la distruzione dell’opera. Essa venne lodata dal visitatore e lasciata vivere.

Tutto ciò diffuse attorno alla nascente opera la reputazione di istituzione ove le suore morivano di fame e regolarmente si ammalavano in breve tempo. E ciò spaventava le nuove vocazioni.
Il Fondatore dovette soffrire insulti, provocazioni, di chi si accaniva in tutti i modi contro la sua fondazione e la voleva distrutta.
Essa invece prosperava. Il bene che faceva in filanda fu a lungo ricordato dalle donne che l’avevano frequentata. Lo spirito religioso, l’amore al lavoro, all’austerità, alla pietà affinavano l’anima delle suore rendendole atte all’alto compito.

Così in Botticino si formava una congregazione religiosa, ancora oggi originalissima e quanto mai moderna. Quel lavoro manuale veramente benedetto dai sudori del Figlio di Dio a Nazaret e che il materialismo egoistico del mondo moderno, con il capitalismo, minacciava di ridurre a una forma di schiavitù, apparentemente diversa dall’antica, ma sostanzialmente identica, veniva benedetto dalla comparsa delle suore che si misero accanto alle loro compagne operaie per vivere con esse il loro diuturno lavoro e di soffrire con esse la quotidiana vicenda del pane, del sudore, dell’obbedienza, della fatica.

Attualmente la suora operaia, ricca del dono di Dio, serve i fratelli:

— in Italia: nelle fabbriche, mense, laboratori, ambulatori, scuole materne, opere assistenziali per minori e anziani, nelle case per ferie, nelle opere parrocchiali; organizzando ritiri, esercizi, incontri giovanili, campi scuola;

— all’estero: emigrata con gli emigrati lavora in fabbrica, presta assistenza sociale, segue i bimbi nelle scuole materne e nei nidi, visita le famiglie, gli ammalati, aiuta il missionario nelle varie attività di catechesi;

— in Africa: le Suore Operaie servono i fratelli insegnando nel laboratorio di cucito e maglieria, nel Foyer Social (scuola di promozione della donna alla vita umana, sociale e cristiana), curando nel dispensario, catechizzando nel catecumenato.

Grande è stata ed è l’opera del Tadini. Egli la seppe cavare dalla sua anima sacerdotale piena di grandi virtù.

Qualcuno forse lo ricorderà un po’ assolutista, energico, accentratore, inflessibile. Ma tutti gli dovettero riconoscere un’anima casta e intemerata; uno zelo ecclesiastico ardente; un disinteresse assoluto così che spese tutto il proprio avere per gli altri; un’austerità a tutta prova da farlo vivere poveramente e in perpetuo digiuno senza mai lamentarsi degli acciacchi e dei gravi dolori che lo travagliarono per tutta la vita; soprattutto uno spirito profondo di preghiera che lo tratteneva lunghe ore in chiesa in serafica contemplazione, con gli occhi fissi al tabernacolo.

Il suo 25° di parrocchiato fu un trionfo in paese. Qualche mese dopo, precisamente il 20 maggio 1912, volava al cielo povero di beni della terra e ricco di meriti eterni.
Rimane di lui la Congregazione delle Suore Operaie pronta a diffondere nei mondo il suo spirito dinamico, forte, organizzatore, fatto di intraprendenza apostolica, di preghiera, di penitenza, di carità e di povertà.

Rimane l’esempio di un grande sacerdote che tutto diede per puro amore cristiano e visse tutta la sua vita per la cara parrocchia di Botticino Sera che vuoi rimanere fedele a quel cristianesimo sociale e democratico di cui Tadini fu uno dei pionieri.

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Apostolo
del mondo del lavoro

Studiando il Tadini nella sua molteplice opera,
nei suoi scritti e nelle sue relazioni
veniamo a conoscere
il sottofondo del suo pensiero,
che non è stato esplicitato da lui,
ma lo si deve supporre dalla evidenza
del come egli ha operato.

La stessa società che si configurò dopo di lui
maturò ciò di cui essa pure non aveva avvertito.

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La Filanda a Botticino (Brescia)


La prima intuizione che ebbe fu che una società ha un’area che la limita e ha dei gruppi di azione, di potere che la articolano. Non importa che quell’area si chiamasse parrocchia e quelle articolazioni si chiamassero congregazioni. Il fatto è che egli trattò unitariamente la sua società sacrale in cui fece in modo che sorgessero nuclei viventi.
Chi vede lontano nelle dimensioni sociali sa che la società, oggi più che mai, si avvia alla morfologia sociale: della comunità e dei gruppi.

La sua seconda intuizione, non frutto elaborato dalla mente, era la differenza sostanziale fra società e stato. Differenza che è accettata dalla sociologia in modo informe, ma addirittura ignorata dalla prassi politica. Dello stato Tadini non si interessò mai. Contestatario fin dalla gioventù contro lo stato liberale massonico, si radicalizzò nell’opinione del famoso slogan (né eletti, né elettori). In tutti i suoi scritti non c'e una allusione allo stato. La famosa frase era certamente politica perché non tanto rifiutava lo stato, ma lo stato del regno d’Italia, nella sua forma anticattolica, fatalmente strumentalizzata da tutte le leghe atee dell’epoca, per cui lo stato agiva in forma peggiore di quello ‘che non fosse la sua legislazione.

Così si spiega come i più ostinati oppositori dello stato furono i più illuminati riformatori sociali nell’interessarsi ed impegnarsi per una società più giusta, nell’elevazione del lavoro a una condizione più dignitosa e rispettata.

Veniamo così a capire ancor meglio il Tadini, quando in un paese di piccoli proprietari agricoli ebbe pensato di consolidare ed allargare il lavoro industriale. Il Tadini volle rendere la parrocchia una comunità autosufficiente. Non volle che la ricerca del lavoro fosse altrove dispersiva. Volle che si desse al lavoro una sua nota spirituale con la presenza di chi si ispirava a Cristo lavoratore. Volle che il lavoro avesse non un rapporto di rottura, ma di fusione nella comunità sentita come fraternità.

Cercò, per quanto gli fu permesso da chi lo aveva deluso nella sua impresa, che il lavoro venisse considerato con la dignità di una mercede; togliendo dottrinalmente col termine "dignità" ogni sfruttamento e con la parabola dei lavoratori della vigna ad ore diverse del giorno, insegnando che i minimi di paga fossero calcolati in base a questa dignità e cioè a una sufficienza per la vita in base a un puro e semplice parametro economico per indiscriminata diversità di salari come ancora attualmente si nota, specialmente nei minimi di paga.

E fece capire che il lavoro, per chi era senza, era fame e pena nell’attesa di un’assunzione; che era fatica quotidiana resa ancora più pesante ove una politica di tensione da parte dei due fattori della produzione " lavoro-capitale " esistono non per la pura capitalizzazione, ma per la distribuzione in funzione di un consumo e di un livello più alto della vita.

E se il lavoro è fatica quotidiana è sorgente di intelligenza, di fraterno aiuto, di consapevolezza umana e di meriti di fronte agli uomini e a Dio.
Fu un gesto audace il suo di orientare le vocazioni religiose come lavoro, quasi pronosticasse quanto oggi si tenta di fare non come scelta e formazione vocazionale, ma come improvviso ed idealistico rimedio, in un aspetto polemico di rottura, quindi in forma deteriore.

Tadini tuttavia non fu un avventuroso dell’apostolato, né un servile all’autorità; non ebbe bisogno né dei "boss" della borghesia, né ‘del classismo per cristianizzare.
Tadini rimase povero, cristiano, operatore sociale. Ammalato durante tutta la sua vita, da sé, con l’aiuto degli umili, seppe creare una schiera di donne sociali, religiose, dedicate al lavoro. Da questo punto di Vista merita tutto il nostro rispetto e la nostra ammirazione.

Il Tadini zoppicò sì nelle gambe, ma non zoppicò mai nel cervello. Non aveva uccelli in gabbia e fiori nei vasi; ma se li godeva nel suo libero giardino, ove passava molte ore solitario e silenzioso. Le lunghe ore trascorse in canonica, in Chiesa e nel suo " convento operaio " favorite dalla difficoltà della deambulazione, erano impiegate nella preghiera, nello studio, nella meditazione del suo mondo di lavoro e in colloqui con chi avendo scoperto nell’intimità, la felicità di superare il proprio timore, trovava una mente limpida, un cuore aperto, una signorile conversazione, una paterna capacità di consiglio, veramente illuminanti e confortanti.

Quando nel 1912 morì, non aveva ancora visto la sua opera approvata dall’autorità ecclesiastica; non aveva ancora pagato tutti i suoi debiti; non aveva avuto la netta sensazione di essere stato capito. Per questi motivi la sua morte fu una lenta agonia.
Ma aveva lasciato al Vescovo un organismo religioso vivo. Aveva lasciato alle religiose i mezzi per soddisfare tutte le pendenze; e aveva egli stesso la netta sensazione di aver agito giustamente.

Per questi motivi la sua agonia fu piena di speranza, di serenità. E la storia gli diede ragione.
La sua opera fu approvata e dichiarata libera di muoversi come doveva e oggi è di diritto pontificio.
Le sue .solvenze vennero soddisfatte tutte senza residue debitorie. L’Opera delle Suore Operaie, nonostante le opposizioni dall’esterno, ritornò al vecchio spirito del Servo di Dio don Arcangelo Tadini, suo fondatore.

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Un carisma
per il nostro tempo

"Un carisma per il nostro tempo"
così è stato definito, in maniera felice e appropriata,
don Arcangelo Tadini.

Non ignoriamo che oggi della parola " carisma "
si fa abuso; e del bisogno di aggiornamento
al nostro tempo si è troppe volte tratto spunto
per strumentalizzazioni di comodo.
Ma, nei riguardi di don Tadini
non esiste il pericolo di adattamento di comodo: soprattutto perché del carismatico e dell’illuminato
don Tadini non s’è mai dato l’aria.

Possiamo tranquillamente affermare che
la realtà carismatica è inversamente proporzionale
al chiasso che se ne fa.

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La Canonica di Botticino (Brescia)


Don Tadini fu uomo e prete di paese, sobrio, probabilmente rude e austero, coniato secondo un cliché che non esiteremmo a definire all’antica. Fu soprattutto uomo di Dio e profondamente umano: fedele a Dio e fedele all’uomo. Per sintonia immediata, acquisita con esercizio virtuoso, più che per spontaneità naturale. Uno di quei personaggi che non finiscono mai di stupire per l’apparente contraddizione che esprimono: uomo d’ordine, e invece profondamente innovatore; uomo legato alla tradizione, e invece decisamente aperto ai problemi del suo tempo, addirittura spalancato sull’avvenire, che intuì e preparò, pur nella fedeltà al suo momento storico.

La nostra stagione storica è tutta contrassegnata dalla presenza carismatica di questi uomini di Dio: che hanno preparato tempi nuovi senza darsene l’aria. Come papa Giovanni, cresciuto secondo una spiritualità e una mentalità decisamente tradizionale e devozionale, eppure così spalancato — con libertà e inventiva — sul nostro tempo. Quasi a testimoniare che il carisma è dono di Dio, e non frutto di iniziativa umana; e che di esso sono particolarmente disponibili gli intimi di Dio, qualunque sia la loro estrazione socio-culturale; è la fedeltà a Dio, assieme all’apertura agli uomini senza schematismi prefabbricati e senza ideologie, a fare il carismatico. Indubbiamente ci troviamo in un campo di alta spiritualità, i teologi parlerebbero giustamente di vita mistica.

Quale fu il carisma di cui don Tadini fu arricchito per il nostro tempo?

Fu l’aver intuito — " per rivelazione del Padre, non della carne né del sangue " (Mt. 16) — che la realtà storica e il mondo del lavoro sono luogo privilegiato nel nostro tempo per attuare la salvezza e la liberazione dell’uomo.

Sono così sorte le Suore " Operaie ". Una piccola congregazione tra le molte, senza pretese, nata dal cuore cristiano e nutrito di fede di don Arcangelo Tadini. Quando si parla di suore " Operaie " fuori di Brescia, molti domandano se il termine sia d’ordine simbolico (così come si parla di " Figlie del Sacro Cuore", odi "5. Giuseppe" odi "S. Paolo":
si stenta a far capire che si tratta di suore " Operaie " nel senso reale della parola. E si tratta di un’esperienza che vive dall’inizio di questo secolo: è una profezia, certamente.

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La spiritualità del Tadini

Don Arcangelo Tadini fu un sacerdote
di alta spiritualità e di intenso apostolato
pastorale e sociale.

La sua alta spiritualità si manifesta nella sua vita
che ha gli aspetti viventi dell’eremita,
che vive nella sua canonica, divenuta casa di silenzio,
di orazione, di studio e di veglia notturna.

Si manifesta come presenza nella sua parrocchiale
che proclama sua "sposa "e che adorna amorosamente.

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La Chiesa di Botticino (Brescia)


Vi passa lunghe ore in confessionale, in contemplazione infocata nell’immobile fissità del tabernacolo; fissità che la gente contempla commovendosi; sempre in piedi, non genuflesso per la gamba destra anchilosata, oppure piegato sul banco appoggiandosi sugli avambracci per sostenersi.

Lungo le vie della parrocchia passa raccolto, in preghiera, con la corona del rosario, zoppicando faticosamente per le vie collinari del paese.

Si manifesta nella sua predicazione emozionata ed emozionante, fervorosa, focosa, qualche volta impressionante nelle descrizioni; nei richiami, nelle implorazioni: tutti si accorgono che quel che dice lo sente profondamente; si commuovono, piangono, rimangono interdetti, si convertono.

La sua opera pastorale venne svolta con una presenza assidua e costante alla sua residenza, assentandosi solo per cura; organizza i fedeli della sua parrocchia in tante congregazioni o gruppi per ognuno dei quali coltivò lo spirito particolare in tutti i modi possibili; seguì gli ammalati nonostante camminasse zoppicando, con una gamba rigida che gli causava dolori continui, in un paese collinare.

Fu un sacerdote di grandi qualità come confessore e direttore di spirito, diligente per lunghe ore al confessionale, accogliendo tutti come uomo particolarmente dotato nella discrezione degli spiriti, conoscendo, prevedendo e preannunciando molte cose dello spirito a tante persone che si consigliavano.

Coltivò la carità in modo eroico consumando tutti i propri averi, privandosi di tutto, fondando una congregazione religiosa di suore che avrebbero lavorato per le operaie, come operaie esse stesse, prevenendo i tempi di oggi in una stupenda previsione. Per questa opera affrontò difficoltà gravissime finanziarie, l’incomprensione di quasi tutti, le opposizioni accese fino alla calunnia, alle minacce di fallimento, alle restrizioni più inaudite, all’abbandono.

Fu un uomo e un sacerdote di una penitenza eccezionale per malattie sopportate in tutta la sua vita, per un digiuno e un’astinenza ridotta sostanzialmente a soli cibi vegetali, a bevanda esclusivamente di avena, a un orario giornaliero che conosceva l’alzata alle ore tre del mattino tutto l’anno e il ritiro alle ore nove di sera. Questa penitenza era praticata come mortificazione e come vita austera di povertà.

Fu impassibile agli onori (ne ebbe pochi nella sua vita) e alle molte umiliazioni che dovette subire, da chi lo insultò pubblicamente con titoli di ogni genere, con chi lo offese materialmente in vario modo e in vari mezzi, e con chi gli diede fastidi legali che egli sciolse sempre, perché sempre dalla parte della ragione.

Queste opposizioni e calunnie e dicerie di persone vicine e lontane, lo trovarono sempre sereno e tranquillo, e senza manie di persecuzioni, senza complessi emotivi, senza pentimenti, perché uomo forte e giusto.

Tutto questo spiega come la sua virtù fu eroica per il modo in cui venne vissuta, perché costantemente praticata in tutta la sua vita, progressivamente in aumento lungo i suoi anni, fino al distacco completo da tutto e da tutti. Visse così in adorazione di Dio, in preghiera continua verso Gesù, in tenera devozione verso Maria Santissima, in una fedeltà a tutta prova alla Chiesa, al Papa, al suo Vescovo, verso i quali fu obbedientissimo e dei quali fu tenace difensore in tempi razionalisti e bestemmiatori.

Ogni sua eroica virtù e la sua fondazione non poté passare inavvertita e il 5 dicembre 1959 si iniziava il processo diocesano del servo di Dio don Arcangelo Tadini che si compiva felicemente nel 1963.

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