A partire dal 1995, dopo il convegno ecclesiale di
Palermo, la Chiesa italiana ha delineato il proposito di realizzare un progetto culturale
che fosse in grado di rispondere alle sfide che ogni giorno luomo contemporaneo deve
affrontare. Tra queste sfide oggi si sente spesso parlare del fenomeno della
globalizzazione.
Il capitalismo, grazie alle nuove tecnologie
informatiche nella trasmissione dei dati, è in grado, in tempo reale, di spostare ingenti
risorse da un luogo ad un altro. E indubbio che il capitalismo è un formidabile creatore
di ricchezza, ma a volte chiede di non avere nessun vincolo e di non essere imbrigliato in
nessuna regola.
Sovente solo gli uomini della Chiesa hanno alzato
un grido di dolore per metterci in guardia dai guasti, a volte drammatici, che possono
essere prodotti dallassenza di regole nel campo delleconomia e del lavoro.
Assistiamo a persone che disperatamente cercano lavoro e ad altre che ne possiedono due.
In questo contesto lidea dei Vescovi è diffondere una cultura che metta al centro
la persona e il suo bene.
Se questo fosse il faro che guida le scelte
perigliose in economia, certamente i problemi troverebbero soluzioni più appropriate.
Doti indispensabili, però, per ciascun soggetto che vuole operare, o già lo fa, nel
mondo delleconomia sono la competenza e la creatività, supportate dal coraggio. Le
buone intenzioni o i generici richiami a volersi bene lasciano il tempo che trovano.
Mettere al centro delle scelte luomo e il
suo bene è il segno e il significato di una cultura cristianamente ispirata, che potrebbe
trovare aiuto e consenso da parte di altre culture.
Questa è la sfida maggiore dei nostri tempi per
un credente: dare un'anima alla globalizzazione. Non fu questo, in tempi diversi certo, il
sogno di don Tadini? Dare risposte concrete al bisogno di lavoro, pensando anche alla
crescita interiore delle persone che, adulte nella fede, fossero in grado di superare
difficoltà e privazioni grazie ad una vita radicata nei valori del Vangelo? E quando
volle le sue suore "operaie" tra le operaie non era il desiderio di accompagnare
donne e uomini del lavoro sulle strade di una cultura impregnata di solidarietà? Qui sta
la ricchezza del sogno di don Tadini: credere fermamente che le persone, se motivate,
sanno dare risposte concrete e competenti ai bisogni della gente che lavora. La sua stessa
congregazione, nella sua storia, ha sempre fatto compagnia agli uomini e alle donne, sia
sul luogo di lavoro, sia nei posti ricchi di solitudine degli emigranti: la Svizzera, la
Francia, lInghilterra. Una ricchezza non nascosta sotto il moggio, ma posta sul
tavolo per far luce, interrogare ogni giorno ciascuno di noi.
Come possiamo essere degni di un'eredità cosi
grande e così profetica? Semplice: essere segni e significati per le persone del lavoro
oggi, fare cultura dimostrando che mettendosi insieme, associandosi, condividendo la
condizione di chi soffre è possibile dare risposte concrete, quali la promozione e la
giustizia sociale.
Come non pensare allopera di don Tadini
rileggendo le parole del Concilio:
"Non date alluomo per carità ciò che
gli spetta per giustizia"?
Fulgenzio Razio
(dalla "Voce del Popolo" n°21 del 21 Maggio 1999)