Sant'Arcangelo Tadini                                 Angelo di Verola
Canonizzato il 26 Aprile 2009 da Benedetto XVI
proclamato Beato il 3 ottobre 1999 da Giovanni Paolo II


da, Sermones,
Archivio Suore Operaie, Botticino Sera

(AI: Sermones, ASO Botticino Sera)

Scritti e Omelie

RIFLESSIONE SULLA PASSIONE DI GESU’

 Il famoso Michelangelo Buonarroti effigiò un Crocefisso spirante con sì grande arte che chi lo ammira si sente intenerire e non può fare a meno di piangere talmente sono espressi al vivo gli occhi torbidi e insanguinati, il viso pallido e scarno, le labbra livide, il petto gonfio, le membra scorticate e cascanti. Ma ciò che più fa riflettere sono quelle parole scritte sotto: "Non vi si pensa".

Che vergognosa verità per l’uomo! Un Dio è giunto a tanto eccesso di amore verso l’uomo che per salvarlo si è lasciato uccidere, svenare, crocifiggere; ha accettato di morire scorticato in mezzi a due ladroni su di una croce, e l’uomo che, salvato con la sua morte, dovrebbe corrispondergli col dare mille volte la vita per lui, giunge a questo gran portento di sconoscenza, che neppure se ne ricorda, neppure vi spende un pensiero: "Non vi si pensa".

Se il Redentore avesse sparso per noi una sola goccia di sangue o se fosse morto placidamente senza alcun strazio, o anche se fosse morto serenamente pure il non pensarvi sarebbe una stranissima ingratitudine. Che sarà dunque il non pensarvi dopo che Egli è morto per noi con uno scempio sì sanguinoso? Eppure questa sconoscenza, o per meglio dire questa ingiustizia è costretto a soffrire il Signore da noi uomini ingrati.

Mentre Egli era in croce sul calvario, i perfidi giudei non solo non lo compativano, ma lo bestemmiavano: così ora molti peccatori si ricordano assai di rado e con leggerezza della Passione del Signore. Non solo non lo compatiscono, ma ritornano a crocifiggerlo mille volte con i loro peccati. Si può dire finezza più cruda di questa! Ah, non facciamo così noi; ma mettiamoci di proposito a considerare le pene di Gesù Cristo, ed a compatirle col più vivo dei nostri affetti....

Sereno usciva Gesù dal Cenacolo, l’ultima sera della sua vita mortale, per incamminarsi all’orto del Getsemani dove era solito raccogliersi per pregare con i suoi. Gli apostoli, caldi ancora del sangue appena bevuto alla cena, sentivano per lui una tenerezza... quell’ultimo discorso di congedo, quei ricordi... se lo prendevano in mezzo facendogli un mondo di carezze... lo amavano tanto.. e nessuno lo avrebbe mai lasciato. Pietro poi voleva dire più ancora degli altri:

Maestro non temete anche se dovessi morire con te...

Gesù raggiunse quell’Orto, il suo sorriso si cambiò in affanno, un peso mortale gli strinse il cuore. "Vigilate et orate" disse agli apostoli, "figlioli miei, non lasciatemi, state con me." E allontanandosi da loro quanto il tiro di un sasso, cadde ginocchioni a pregare. Ah, vedetelo: le divine ginocchia piegate a terra, la fronte umiliata fino al suolo, il volto tinto dì color di morte, il cuore gli palpita affannoso, le membra tremano. ..e chi lo affanna così? Chi lo ha ridotto a questi termini?.., qui non sono i manigoldi che lo percuotono, non si vedono spade che lo trafiggono, non vi è strumento alcuno di pena che lo tormenti.

Giunta è l’ora del sacrificio... .La divinità che fu sempre con Lui abbandonò, direi quasi, la natura in braccio al dolore; partirono i dolci pensieri, le immagini di conforto, e l’anima di Gesù rimase sola con sfilati davanti i dolori, le angosce, i tremiti, le agonie e la morte stessa. Non vi è forse cosa che gli uomini sentono più al vivo quanto il vedersi abbandonati dagli amici più cari e dai parenti più stretti nelle loro maggiori calamità. Non lamenta Giobbe tanto il dolore quanto l’abbandono. Gesù Cristo nell’orto soffrì l’abbandono, e prima da sé medesimo Egli non voleva conforto neppure da sé, diede licenza alle sue passioni, che fino ad allora erano state quiete e ubbidienti alla ragione, tanto che l’assalirono furiosamente come fiere sfrenate. Il suo pensiero lo portò al domani e tutto scorrendone con Io sguardo la tragica scena ne sentì spavento. Egli vedeva il tradimento di Giuda, la fuga degli Apostoli, la negazione di Pietro, e poi quella notte là nel Pretorio, insulti, l’obbrobrio di quei ribaldi, e poi quei colpi di martello, quegli estremi delitti, quell’ultimo spirare dell’anima.

Più di ogni altro l’opprimeva il pensiero d’essere egli coperto e carico di tutti i peccati passati, presenti e futuri di tutto il mondo. Egli, la Santità per essenza, la purezza personificata carica di peccati! Pensate voi quale sarà stato l’orrore dell’anima santissima di Gesù ricoprirsi dei peccati di tutti gli uomini che è quanto dire della lebbra più schifosa, più sozza e più purulenta che regni al mondo, qual è la lebbra diabolica! Un peccato solo davanti a Dio è più abominevole che tutte le immondezze delle piaghe; che tutto il sudiciume dei cadaveri, che tutte le schifezze delle cloache. Considerate perciò quanto saranno abominevoli tutti i peccati insieme. Ah certo che il Signore ben più volentieri avrebbe accettata più di una morte piuttosto che ricoprirsi delle abominevoli iniquità degli uomini.

Egli rifletteva che dopo tanto suo sangue, gran parte degli uomini, si sarebbero persi senza trarre frutto dal suo patire. Mi pare di sentirlo, se deve essere così, che giova dunque che io peni così tanto? Perché verserò questo mio sangue se per molti sarà sparso inutilmente?... Passi dunque o Padre, passi da me questo calice, ma ahimè Gesù prega e suo Padre tace... Torna a pregare, e con le maniere le più umili e compassionevoli ripete la medesima domanda: Padre se possibile allontana da me questo calice. E gran cosa: Dio che è tutto viscere di pietà e tenerezza verso tutti, ma particolarmente verso i tribolati, gli afflitti e gli oppressi a questo suo figlio mostra di non aver pietà, di non sentire compassione, lo lascia in abbandono! Ma – Padre - grida per la terza volta l’appassionato Gesù, - Padre se è possibile allontana da me questo calice -.

Con tutto ciò per nulla mosso l’Eterno Padre a tante suppliche e umiliazioni di un Figlio, non solo non lo consola, ma gli invia subito dal Cielo un angelo, il quale portatosi nel Getsemani prima lo adora come suo Dio, poi additandogli un calice di nero assenzio gli annunzia essersi già irrevocabilmente stabilito ch’egli muoia e muoia della morte più spietata e più dura della croce. "Non la mia ma la tua volontà sia fatta" disse allora Gesù. Si sollevò contro Gesù una tempesta di dolori, affanni, apprensioni, paure tanto che incominciò a sudare da capo a piedi vivo sangue.... Ah, povero mio Nazareno, che gran pena è stata mai la vostra se è giunta a farvi sudar sangue! Né poteva essere di meno perché se tanto sentono gli uomini l’essere abbandonati dagli amici, qual cordoglio dovette essere il vostro nel vedervi abbandonato da... padre, e Padre Eterno.

Ma, i suoi Apostoli dove sono? Dov’è Giovanni quel diletto discepolo che poco prima aveva posato il suo capo in seno a Gesù? Dove sono tutti quegli altri che nell’accompagnarlo all’orto gli mostravano tanto amore, dov’è quel Pietro che protestava di voler morire piuttosto che abbandonarlo? Come?... Che fanno?... perché non corrono a sollevarlo dal suolo.., ad asciugargli il sudore?... a rinvigorirgli le forze con qualche opportuno conforto, ah essi dormono. Oh ingratitudine! Per ben tre volte Gesù li svegliò pregandoli di non abbandonarlo, ma essi subito ritornarono al sonno senza punto pensare alloro amato Maestro. - Non avete potuto vegliare un’ora con me! Dove sono mai tutte quelle vostre proteste di tenerezza e di amore? Una sol ora non siete capaci di vigilare con me? Dove sono quelle vostre proteste di volermi sempre con voi di non mai abbandonarmi? -

Queste parole gli uscivano di bocca con tale accento di angoscia!... li aveva pure nutriti e tenuti attorno come suoi figli, li aveva scongiurati di non lasciarlo, ed essi nemmeno sono stati capaci di vegliare con Lui in un frangente sì spaventoso! Questa, dice un interprete, fu una delle pene più strazianti al suo cuore; ed è vero, anche noi siamo fatti così: portiamo in pace l’insulto di un aperto nemico ma che un uomo che aveva protestato di amarci ed essere tutto per noi, un uomo ricolmo di favori, ci volti le spalle nel momento della sventura, o se non altro si mostri freddo insensibile alle nostre pene, ciò mette in noi un senso di profonda tristezza.

Che dolore per Gesù, egli patisce e i suoi Apostoli dormono. Dormissero almeno tutti! Uno vi è che veglia, ma veglia per tradirlo. Giuda, il perfido Giuda non dorme; fatto capo di una squadra di sbirri, con aste e fiaccole viene con catene per sorprendere Gesù nell’orto e consegnarlo ai suoi nemici. Egli come gli altri Apostoli era stato presente all’ultima Cena: anch’egli si era cibato delle carni immacolate del divino Agnello, aveva avvicinato le labbra al calice della vita eterna. Maledetta avarizia, mostro orribile a quali eccessi tu spingi! L’interesse, l’amore disordinato al soldo gli fa concepire l’infame disegno di vendere il suo divin Maestro. Ed eccolo difatti, mentre i suoi compagni con Gesù si avviano al Getsemani, quasi di soppiatto, corre da Scribi e Farisei e per trenta denari promette di dar loro nelle mani il divin Redentore.

Ah, perfido Giuda! Tu uno dei suoi più favoriti discepoli, tu allevato per più anni alla sua scuola, tu pasciuto alla sua mensa, tu onorato della sua confidenza, tu hai cuore di staccarti dal suo fianco per collocarti coi suoi giurati nemici: tu crudele mercante, hai coraggio di vendere il Figlio di Dio per trenta denari, tu hai coraggio di sigillare questo infame gesto col segno dell’amore?... Con un bacio dunque tu tradisci il Figlio dell’uomo? Oh Giuda, Giuda fermati, sei ancora in tempo a rimediarvi, guarda Gesù che ti chiama ancora per amico. Egli è disposto a perdonarti e già ti perdona , getta quell’infame prezzo e prostrato a terra chiedi perdono.

Ma perché perderci a piangere tanto sopra Giuda, piangiamo piuttosto su noi stessi che di Giuda siamo peggiori. Oh quante volte abbiamo noi pure tradito questo nostro Maestro?... Molte volte, non per trenta denari ma per un miserabile piacere, per una vile soddisfazione. Dimmi o disonesto per che cosa hai venduto Gesù? Tu donna vana e capricciosa tu intemperante, e tu bestemmiatore... e tu ladro, e tu iracondo… e tu superbo... e tu avaro.., e voi, in una parola, o peccatori per chi avete venduto Gesù? Giuda almeno l’ha venduto una sola volta e noi? Giuda se avesse avuto la grazia di potersene emendare certo più non l’avrebbe tradito; e noi? Quante volte abbiamo domandato pietà, perdono e poi siamo ritornati a quel fango che abbiamo detestato.

Quanto siamo noi peggiori di Giuda! E’ vero, egli era un apostolo e Gesù l’aveva scelto fra tanti per suo seguace, l’aveva ricolmato di doni. E noi? Non siamo forse suoi discepoli? Non siamo noi nella sua Chiesa? Quanti di coloro che vivono nell’idolatria e nell’ignoranza servirebbero Dio con ogni impegno se fossero cristiani come noi. E di benefici ce ne ha fatti e ce ne fa direi quasi all’infinito. Egli ci da i suoi ministri che ci sono guida nel cammino della nostra vita. Egli ci da i Sacramenti che sono altrettanti canali per cui piovono su di noi tutte le grazie celesti. Egli ora ci chiama con una disgrazia, ora ci sprona con un esempio, ora ci invita con una malattia. Quanti doni e quanti benefici e quanta ingratitudine nostra nel calpestarli! Sì, piangiamo su di noi e non già su Giuda.

Attraverso il bosco si sente un muover concitato di passi, gente armata si avanza, Giuda li precede. Gesù si accorge, chiama gli Apostoli e corre ad incontrarli. Giuda è il primo che viene, stampa in faccia a Gesù l’infame bacio, gli sgherri si avventano e a guisa di un fiume a cui rompono gli argini, tutta quella ciurmaglia si getta con grande impeto su Gesù. Alcuni lo urtano, altri lo spingono, altri lo percuotono, lo legano, gli uni e gli altri lo trascinano e... tornando ad inalberar la lanterna se io conducono ai Tribunali come in trionfo. Era da tempo che quei ribaldi Giudei si sentivano pizzicare le mani, sospirando il momento di poterlo agguantare: ora che lo hanno in catene la deve pagare gridano, ed essi fanno festa come di una vittoria. Gli apostoli si sperdono per la campagna, e Gesù povero Agnello caduto in mano ai lupi, cammina silenzioso verso Gerusalemme... Uscite, uscite, abitanti di Betania, correte incontro a Gesù Nazareno, mirate come trattano colui che vi risanava gli infermi e i paralitici: ora questi è in mano ai suoi nemici.

Non dimentichiamo l’amabilissimo nostro Salvatore e sia questo il primo frutto: sentire una viva compassione del suo sommo abbandono. ... Giobbe nei suoi travagli ebbe pur degli amici che vennero a consolarlo. Quel viandante che da Gerusalemme viaggiava verso Gerico ebbe un cortese Samaritano che in varie guise lo confortò. Solo Gesù non ha neppure uno nell’orto che Io consoli. Eppure egli aveva sempre fatto del bene a tutti…guarito i ciechi., soccorso quel paralitico alla piscina... No, non dimentichiamolo, ed è il secondo frutto.

E per terzo impariamo pazienza quando le creature ci abbandonano, e non diciamo più: non ho nessuno per me, anche quando sembra che Dio non ci esaudisca e ci consoli nelle nostre orazioni, non prorompiamo in quella bestemmia che Dio si è scordato di noi. Pretendiamo forse noi d’esser più di Gesù, che pregò per tre volte senza esser stato esaudito?

Che dolore, che gran confusione fu per Gesù entrare in Gerusalemme legato con funi e catene, come assassino in mezzo alle guardie che apposta io tiravano per le strade più popolate dove aveva ricevuto tanti plausi e tante venerazioni. Oh Dio che affronto fu mai quello di Gesù Cristo? Tutti si affollavano per riconoscerlo e mostrandolo a dito dicevano: Ecco là Gesù Nazareno! O vedete chi avrebbe mai potuto credere di Lui che fosse un infame. Gesù un infame? Un infame Gesù?

E’ cosa certa che tutti gli uomini, specialmente se sono nobili e saggi, sentono assai più vivamente i pregiudizi della fama e della reputazione che i dolori del corpo. Anzi, spesso stimano assai più l’onore che la vita stessa. lire Saul sconfitto in battaglia comandò ad un suo scudiere che lo uccidesse, stimando minor male il morire che il cadere nelle mani dei suoi nemici.... Ora il Nazareno come Dio era il supremo monarca di tutti i re; come uomo era il discendente della stirpe reale di Davide e come taumaturgo e predicatore della sua nuova legge era il personaggio più accreditato di tutta Gerusalemme tanto che lo seguivano a migliaia per udirne le celesti dottrine e per vederne gli strepitosi prodigi che operava. Che rossore, che confusione per Gesù comparire nelle strade più affollate di Gerusalemme, non solo qual servo, ma qual ladro, qual malfattore. Che ignominia l’esser Egli condotto a tanti tribunali e qui esser accusato, calunniato quale indemoniato e seduttore del popolo? E non solo non trovare giustizia alla sua innocenza da tanti giudici, ma averli tutti avversi e oltraggiosi. Ah Gesù, perché non vi difendete?...

Egli sopporta tutto senza proferir parola, con le catene alle mani e coi ceppi ai piedi, si lascia condurre come reo dinnanzi ai tribunali. Anna pauroso per la sua mitra lo esamina come ribaldo. Caifa geloso del suo sacerdozio lo rimprovera come bestemmiatore. Erode idolatra della sua corona lo schernisce come uno stolto. Pilato schiavo della sua politica lo assolve come innocente e poi lo condanna come reo. Attorno a Gesù ognuno accusa, mormora, bestemmia ed Egli tace. L’invidia sanguinaria di due pontefici impegna le gioie della mitra per comperare falsi testimoni. E Gesù tace. La curiosità malcreata d’un Erode coronato dal suo incesto, avido d’impiegar gli occhi per veder miracoli piuttosto che per pianger i suoi peccati, l’interroga, gli richiede qualche miracolo, cerca di cavargli di bocca qualche parola, ma Gesù tace.

Erode ritenendolo pazzo lo tratta per tale, per disprezzo lo veste di bianco e lo rimanda a Pilato il quale tesse un esame il più curioso che mai abbia visto la terra. Ora loda, ora rimprovera, ora licenzia, ora richiama, ora assolve, ora condanna, e Gesù? Gesù tace. Che oltraggi furono mai questi per Gesù! Quale ignominia, qual disonore! Vedersi trattar da tutti con tanto disprezzo, beffeggiato, deriso, schernito come pazzo da una spudorata soldatesca, che spinta da furore satanico cerca ogni mezzo per disonorarlo. Chi gli insozza la faccia di sputi, chi gli si scaglia contro gettandolo di qua e di là.

Adorabile mio Salvatore, so che voi parlate più col vostro tacere, ma ora che Pilato di buon genio vi interroga, deh rispondete cosa avete fatto. Dite che voi avete fatto l’ammirabile luce del giorno. Dite che è vostra architettura la terra che li sostenta, il cielo che li ricopre; dite loro che voi avete ridato vita ai morti, liberati gli ossessi, mondati i lebbrosi, illuminati i ciechi, saziati gli affamati, convertiti i peccatori.... Ma che dico io mai, fate pur bene o Gesù a tacere, perché ora le vostre sillabe vi costano troppo caro.

Era Gesù dinanzi a Caifa quando questi come ispirato d’inferno prese a gridare: Ti scongiuro per il Dio vivente: parla, sei tu Figlio di Dio? Si fece silenzio e Gesù con voce solenne rispose: Si lo sono, e vedrete il Figlio dell’Uomo ascendere al Padre e sedere alla sua destra per giudicare gli uomini. Caifa stava immobile ascoltando e appena l’udì parlare così, afferrò a due mani il suo mantello e lacerandolo da capo a fondo gridò: "Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo di cercare ancora? Ha bestemmiato" Questo fu come il segnale della battaglia: l’ira chiusa nei petti scoppiò; un fremito, un delirio s’impadronì dei Giudei, e a modo di forsennati si scagliarono contro Gesù … chi a strappargli la barba, chi a percuoterlo in faccia, chi ha insozzarlo sul capo spingendolo di qua e di là...

Mentre i Giudei smaltivano la rabbia contro Gesù disprezzandolo con ogni barbarie, un uomo silenzioso si aggirava attorno al Pretorio spintovi da terrore e pietà: era Pietro. Lo amava troppo quell’uomo da potersene stare lontano.., ma una donna lo scopre e guardandolo bene in faccia disse... "ma qui vi è uno dei suoi, un discepolo del Galileo..." – "io?... non Io conosco nemmeno!" - "invano neghi, il parlare ti tradisce." Pietro allora impallidì: in quel giorno era un delitto appartenere a Gesù. Pietro vedendosi così perduto prese a gridare e spergiurare che non era vero... Ma poi Pietro non si disperò, al canto del gallo si ricordò delle parole di Gesù e uscito fuori pianse amaramente. Quale disonore però per Gesù, vedere che colui che doveva diventare il suo vicario qui in terra giura di neppur conoscerlo quasi che fosse un infame. Oh disonore! Quando mai si è veduto al mondo un disprezzo pari al suo? ...Eppure qui non terminano gli obbrobri di Gesù, altri e altri ancora ne seguono.

Quale ignominia vedersi spogliato delle vesti, percosso da flagelli. Quel Dio che copre la terra di nuvole, il cielo di gloria, che veste di penne gli uccelli, di smalto i fiori, di candore i gigli del campo, vedersi esposto ignudo in spettacolo alle occhiate licenziose, a motteggi sacrileghi. Un immenso rossore tinge allora il volto del Salvatore... Da mano disonesta si spoglia quel santissimo corpo, con funi ritorte lo si lega alla colonna dell’atrio, e snudate le nerborute braccia non pochi manigoldi arrabbiati con verghe, con funi con pungoli e con catene si scagliano talmente su quelle tenere membra che non lasciano di quel corpo parte illesa. Ed ecco il divin Corpo divenuto una sola ferita; e quei manigoldi battono. Già son nude le costole, e quelli battono. Il pavimento è un lago di sangue ed essi battono. Le muraglie, la colonna, le fruste, le mani, la faccia, le vesti dei carnefici sono ripiene di sangue e di minuscoli brandelli di carne fatta volare dall’impeto dei flagelli .. e quelli tuttavia battono Ecco qua o cari una bella prova delle umani impudicizie. Vieni qua o disonesto, tu che vai dicendo: che gran male è poi un peccato di carne; guarda cosa costano a Gesù quelle tue sporcizie.... Slegato appena dalla colonna non può più stare in piedi e cade bocconi sul pavimento.., ah che giammai figlio d’uomo fu trattato con crudeltà più selvaggia.

Non meno oltraggiosa fu pure l’ignominia dell’incoronazione di spine voluta dai Giudei non solo per tormentarlo, ma per prendersi essi trastullo e trattarlo come re da burla. Spogliatolo dunque un’altra volta delle sue vesti lo fan sedere sopra un sasso per trono, poi intrecciano insieme rami di giunco marino le cui spine sono lunghe, solide, dure e penetranti che traforano le suole delle scarpe, e formatene un orribile e ignominioso diadema in modo da coprirne tutta la testa, glielo adattano sul capo e con nodosi bastoni gliela calcano con tanta violenza e furore che ben presto le spine trapassano la cute, penetrano il cranio, gli si internano nel cervello, ed alcune più lunghe straziano tutti i delicati tessuti della testa... Il sangue ne scorre da tutte queste parti a rivi, i capelli e la barba e tutto il santo Volto ne è intriso.

Una corona di spine domanda un manto d’obbrobrio ed uno scettro di derisione: gli si getta sulle spalle uno schifoso straccio di vecchia porpora per manto regale; per scettro gli si pone in mano una ignobile canna; poi, tra fischi e sogghigni, tra contorcimenti e ludibri, si inchinano con comiche riverenze, lo salutano con affettata ironia. Ave re dei Giudei! Chi gli vomita sul viso stomachevoli sputi. Chi sulle gote gli scarica schiaffi sonori, chi gli strappa la barba e chi i capelli; chi i pugni e chi i calci; chi levandogli la canna percotendo con essa il capo gliene interna sempre più le spina, gliene prolunga le trafitture, gliene rinnova il dolore. Oh scena di compassione e insieme di orrore! Oh innocenza spietatamente martoriata, oh dignità e maestà del Figlio di Dio, vero Re dell’universo, calpestata e derisa!...

Così malconcio con una canna in mano fu presentato a Pilato che ne sentì la più viva compassione, sperando di salvarlo trasse fuori un ladrone reo di omicidio e messolo accanto a Gesù, sopra un palco, alla vista del barbaro popolo, domandò chi dei due volesse salvo e chi condannato? Grande Iddio che umiliazione per Gesù Cristo! Quale insulto, quale affronto! Il discendente di Davide messo a confronto con un sozzo plebeo: il giusto per eccellenza con uno scellerato; il santo Figlio di Dio col più malvagio dei figli d’uomo. O giudice infame, hai coraggio di mettere nel medesimo rango uno scellerato, convinto reo di capitali delitti, con Gesù Cristo che tu stesso hai riconosciuto e proclamato innocente. Ma ancora più infame popolo che posponi colui che ha guarito i tuoi infermi, dato la vista ai ciechi.., lo posponi a Barabba? "ci si tolga costui e ci si rilascia Barabba" e guardate con quale disprezzo: non si degnano neppure di nominarlo, come se temessero di contaminarsi col pronunciarne il nome, quel Nome santo, adorabile, che è la delizia dei cieli e là speranza della salvezza della terra, e dicono semplicemente ci si tolga costui. Come se volessero dire: "si levi costui dal mondo la cui esistenza è uno scandalo, è un disonore per il popolo. Barabba per quanto sia stato malvagio è degno di indulgenza in paragone a costui. Grazia dunque a Barabba e costui a morte". Oh frenesia diabolica! Oh eccesso di ingiustizia e di crudeltà!...

Ma perché inveire tanto contro chi non ci ascolta? Approfittiamo dell’insegnamento. Gesù volle essere così tanto vilipeso e schernito per confondere la nostra superbia e insegnarci l’umiltà evangelica. Quanti vi sono nel mondo, e forse anche tra i cristiani, che non sanno umiliarsi! E credono di dire molto dicendo "qui ci va della mia reputazione". Vi Ingannate, la vera stima di un cristiano è l’essere umili ad esempio del suo divin maestro, allora acquisterà più onore presso Dio quando gli sembrerà di perderlo nel mondo. E poi, se un Dio poté soffrir tanti disprezzi e tante ignominie per amor dell’uomo, non potrà l’uomo, verme vilissimo della terra, per amore dello stesso Dio soffrire qualche leggero pregiudizio della sua stima?

Il popolo con un ruggito: "salva Barabba, muoia Gesù"- Ma io non trovo alcuna colpa Via, via crocifiggilo Ma egli è innocente No, grida il popolo, noi abbiamo una legge e secondo questa deve morire perché si è fatto Figlio di Dio. -Pilato tenta con ogni mezzo di liberarlo, ma il popolo furibondo grida: "Se liberi costui non sei amico di Cesare poiché chi si fa re contraddice Cesare". Pilato si lava le mani per protestarsi innocente e poi per non dispiacere a Cesare condanna Gesù alla morte di croce. Un grido satanico di furore scoppia nella turbe all’udire la sentenza. Gesù è nuovamente consegnato agli sgherri per essere crocefisso. Ed eccolo caricato d’una pesante croce incamminarsi al Calvario. Ognuno corre curioso per vedere questo funesto spettacolo ed i più pietosi si domandano chi sia, e la sbirraglia risponde: E’ Gesù Nazareno. Che ha fatto?, non sanno che rispondere, ma cercano d’affrettarsi, lo trascinano e a pochi passi cade per terra per la debolezza non avendo quasi più sangue addosso.

Sommo dolore! Sebbene la Passione di Gesù non sia stato altro che un intreccio continuo di dolori e di pene acerbissime, pure il massimo dei dolori l’ebbe a soffrire sul Calvario nella sua Crocifissione, lo non vi dirò delle sue cadute sotto la croce.... Dell’incontro con la sa Madre santissima, lasciando a voi madri pensare quale dolore sarà stato per l’uno e per l’altra. Solo intendo farvi osservare come la crocifissione di Gesù sia stata eseguita con straordinaria fierezza, i Giudei nel crocifiggere i ladri se non usarono pietà, usarono però umanità non strapazzandoli più del dovuto. Non si comportarono invece così nel crocifiggere il Redentore perché essi avevano da gran tempo conservato contro di Lui un odio implacabile e nulla più desideravano che vederlo morto.

Quando poi sul Calvario giunsero nel loro intento di crocifiggerlo con le loro stesse mani, con quanta fierezza e inumanità eseguirono l’ingiusta sentenza. Essi, poco curandosi dei due ladroni, si rivolsero tutti contro Gesù. L’uno prepara i chiodi, l’altro scava la fossa per piantarci la croce, un altro distende la stessa croce sul suolo. Poi strappano furiosamente le vesti a Gesù, lo gettano di colpo sul legno micidiale. indi il più fiero dei carnefici afferrata la destra divina e traforandola con gran chiodo aguzzo, con replicati colpi di martello l’affigge al lato destro della croce. O mio Dio! Non mi regge il cuore per proseguire più oltre!...

Al primo colpo si rompono i nervi, i suoi tendini si separano, si feriscono le sue arterie e da questa mano si vede uscire vivo vivo il sangue. Ma essendosi tirati i nervi, le giunture e le ossa per il tormento della prima ferita, l’altra mano non arriva più al luogo del chiodo. Che fa pertanto il crudele sicario: stira quel braccio, stende quel corpo, lo fiacca fintanto che arriva ai luogo. Che strazio, che tormento! Ditemi vi fu al mondo chi abbia patito così tanto? Anche il più gran reo nel momento che subisce il suo supplizio viene considerato come un oggetto sacro. Egli ha diritto alla compassione perfino dai giudici che lo hanno condannato; anche dai carnefici che lo giustiziano, ed a nessuno è permesso di gioire alla sua tortura o d’insultare i suoi dolori. Tutti questi riguardi, che la natura comanda, che la legge esige anche verso i più scellerati, furono posti in oblio quando si è trattato dei Giusto per eccellenza, di Colui innanzi al quale si inchinano i cieli. Fatto ciò tutti insieme quei barbari levando su in alto la croce insieme col Crocifisso Nazareno che perdeva sangue dalle ferite, lo fanno calar giù a piombo nella buca destinata e nel cadere, scotendosi tutte le membra di Gesù, squarciandosi maggiormente le sue piaghe, gli recano tutti insieme mille atrocissimi spasimi.

Appena fu eretta la croce, appena il Crocifisso fu mostrato al popolo, una specie di satanico furore invade tutti gli spettatori: la veduta di quel corpo delicato coperto di sangue e di piaghe, sospeso a quattro chiodi, non li intenerisce. Ogni sentimento di pietà pare spento nei cuori di quella moltitudine feroce. Ebrei e Romani, principi e popoli, magistrati e carnefici, perfino i passeggeri, tutti d’accordo vomitano l’oltraggio, la maledizione, la bestemmia, quasi non bastassero i chiodi che trapassano la carne, vogliono coi dardi della lingua trapassargli il cuore.

Gesù spasima e agonizza senza mai trovare un sito che non gli sia tormentoso; poiché se appoggia ad esso il capo si sente spingere più addentro le punte delle spine, se si abbandona innanzi si allargano le ferite delle piaghe. Ovunque volge lo sguardo incontra ad ogni occhiata un tormento. Qua la madre che sviene; là il ladro che lo bestemmia; d’ogni lato i Giudei che lo insultano. Chiede qualche ristoro alla sua sete ed è abbeverato di fiele e di assenzio. Non può chiedere aiuto ai suoi discepoli perché tutti sono fuggiti. Non alla sua madre, non glielo avrebbero permesso i Giudei... Lo confortasse almeno l’Eterno Padre, che pur è di misericordia infinita, ma l’Eterno Padre fa sembiante di averlo abbandonato di modo che il povero Redentore non sa trattenersi dal farne un dolce lamento. "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" così Egli martirizzato dall’interno cordoglio, ed insanguinato e piagato in tutte le membra agonizza.... Il viso gli si tinge di pallore, si illividiscono le labbra, gli si gonfia il petto, socchiude gli occhi, china il capo, ormai non ha più forza. Ma ecco che il cielo si oscura, la terra scossa e spaccata trema sotto i piedi, la natura soffrir non può tanta indegnità contro il suo autore; tutte le creature gemono e sembra domandino all’Altissimo di vendicar suo Figlio.

Ecco che Gesù domanda: Trema o generazione in grata; trema popolo empio! Tu hai cessato di esistere. Ecco il fulmine dell’ira eterna che sta per scoppiare sopra dite! Ma che dico? Parlo di vendetta e di castigo? No, no, dalla bocca dì Gesù Cristo non possono uscire che parole di misericordia e di amore. Il Divin Redentore non parla per affrettare la vendetta ma per arrestarla. "Padre perdona loro, non sanno quello che fanno". Oh misericordia di Gesù!... li popolo lo oltraggia ed Egli ne ha compassione!... li popolo lo bestemmia e Io maledice, ed Egli invoca su quel popolo il perdono, la benedizione, la vita.., il popolo non mette limiti al suo furore brutale e Gesù non ne pone alla sua divina carità. Con gli occhi rivolti al cielo offre all’eterno Padre il sacrificio del suo corpo lacerato dai flagelli, dell’anima sua immersa nei dolori, con la sua preghiera e le sue suppliche chiede il perdono per il mondo intero. Fortunato il buon ladrone che fu il primo a provarne i dolci effetti del perdono che Gesù ottenne agli uomini. Dalla bocca di Gesù udì quelle consolanti parole: "Non dubitare, oggi sarai con me in Paradiso" Gesù china il capo, ormai non ha più forza. Ma vedendo ai piedi della croce la santa ed augusta sua Madre impietrita per il dolore, anche di questa si priva e la dona a noi dicendoci: "Figlio, ecco tua Madre". E noi riceviamoLa oggi e tale sia fino alla morte.

Allorché Gesù entrò in agonia, nella natura successe uno strano sconvolgimento: il cielo da sereno si fece tristemente scuro; pareva che un velo scendesse davanti al sole; la luce si spegneva poco a poco e le tenebre si addensavano terribilmente, la moltitudine costernata smetteva la baldanza, la bestemmia moriva sulle labbra, solo qualche altera voce di Fariseo si udiva ancora maledire Cristo. Era diventato buio, su in cielo si vedevano ancora le stelle luccicare silenziose, quasi funeree fiaccole intorno al feretro; di riscontro la luna come lampada mortuaria gettava un triste bagliore. Attorno alla Croce allora vi fu un lungo silenzio; solo si udivano gli ultimi aneliti di Gesù uscire lenti e profondi e il tardo alitare del suo petto annunziava prossima la morte.

 Ormai ogni cosa è compiuta, l’alta impresa ha toccato il suo termine, e Gesù lo annunzia al mondo. "Consummatum est" Tutto è consumato, con la mia incarnazione, con la mia vita, con la mia passione e con la mia morte che sto per accettare si trova compiuto tutto ciò che era scritto nell’eterno decreto. Consummatum est. Vinto è il demonio, riscattato è l’universo, repressa è la concupiscenza, salvato è l’uomo, fondata è la Chiesa, aperto è li cielo. Consummatum est. Preziosa dichiarazione. i nostri debiti sono pagati, concluso è il nostro riscatto, la giustizia di Dio soddisfatta, abolita la nostra condanna, appianata è la strada della nostra salvezza, il cielo inchinato ci invita. Consummatum est. Così dicendo alza un acutissimo grido che risveglia i morti entro le tombe, squarcia le rupi e sbalordisce la natura. Poi chinando l’augusta fronte verso quella terra ingrata che aveva innaffiata con tanto sangue.... Ah, ditelo voi o angeli della pace col vostro pianto, ditelo terremoti coi vostri ruggiti che io non ho fiato né animo per dirlo: - Expiravit Sarò io per questo obbligato a tacere? No, no, bisogna anzi che più di prima io alzi la voce, per dire a tutti gli uomini che Gesù Cristo è morto. Uomini mortali Gesù è morto. Gesù, nostra vita, l’autore, il principio del nostro essere è adesso senza vita. Gesù è morto ed i soli nostri peccati ne sono la causa.

Eccolo, eccolo nelle mie mani. Oh dolce peso delle mie braccia, io vi stringo con tutto l’affetto al cuore. O caro mio Gesù, o caro, o caro. lo vi abbraccio e perché non muoio di tenerezza. O caro mio Gesù, voi morto e io vivo? Voi morto per me ed io perché non vivo tutto per voi? O Dio dei miei amori e sovrano dell’anima mia, in che vi vedo io ridotto, il Figlio di Dio in croce? Un Dio appeso ad un legno? lire del cielo in mezzo a due ladroni? Ditemi, o mio Dio, chi vi ha ridotto in uno stato sì miserabile? Ditemi, o mio Dio, che cosa avevano fatto questi occhi amorosi per essere così riseccati ed estinti da tante lacrime? Che aveva fatto questo costato per essere aperto da una lancia? Che cosa avevano fatto questi piedi e queste mani adorabili per essere confitte con chiodi? Che cosa avete fatto da essere così maltrattato in tutto il corpo?... sì, lo so... ci avete amato troppo. No, non sono i carnefici che vi hanno messo in questo stato, sono i nostri peccati che vi hanno fatto morire. La nostra superbia vi ha messo queste spine in capo, le nostre cattive azioni vi hanno inchiodato le mani, i nostri sregolati affetti vi hanno trafitto i piedi, in una parola, i nostri peccati, sì, i nostri peccati vi hanno attaccato a questo legno.

Ecco, o cari che cosa fruttarono i nostri peccati. Ecco l’immagine della nostra crudeltà e l’oggetto del profondo dolore della Chiesa. O peccatore hai ancora coraggio di crocifiggerlo nuovamente, non ti bastano quei tanti peccati che hai commessi? Ah, ostinato se mai qui sei ad ascoltarmi, mentre si squarciano le rupi e tremano gli elementi, tu neppure il Venerdì Santo aprirai il cuore ad una sincera contrizione, ad una confessione ben fatta?... Dunque in un giorno di universale perdono, quando si salvano i ladri, si pentono i crocifissori, tu ancora non ti penti, vuoi dannarti?... Ah, io non posso sopportare questo nuovo strazio al cuore del mio Gesù. No, non alzerà il Crocefisso per benedirvi se non vi pentite e promettete di emendarvi.

Guarda Egli è qui crocefisso con le braccia aperte, per abbracciarti, egli china il capo per darti il bacio di pace, ha squarciato il petto per mostrarti il suo cuore amoroso e tu non piangerai il tuo peccato? Su, su, a che servono le lacrime? Ecco il momento di spargerle in contraccambio del sangue che per noi sparse questo amabile crocefisso. Sì, piangiamo i nostri peccati e poi allarghiamo il cuore contrito ad una copiosa benedizione. Ecco: il nostro Dio morto per noi ce la concede.

AI: "Sermones", ASO Botticino