Sant'Arcangelo Tadini                                 Angelo di Verola
Canonizzato il 26 Aprile 2009 da Benedetto XVI
proclamato Beato il 3 ottobre 1999 da Giovanni Paolo II


da, Sermones,
Archivio Suore Operaie, Botticino Sera

(AI: Sermones, ASO Botticino Sera)

Scritti e Omelie

...PASSO’ BENEFICANDO TUTTI

 Omelia

L’idea di commemorare una beneficenza nella Chiesa di Cristo altro non è se non riconoscere che primo fattore di ogni ben fare è Gesù; alla sua vita si ispirarono alcuni scrittori che la sommarono con queste due parole: "Pertransit bene facendo".

Sia lode dunque a coloro che idearono questa solenne commemorazione. lo non ho il bene di conoscerti, ma in spirito stringo loro ben volentieri la mano.

Questa è una solenne rivendicazione della beneficenza, la quale è fredda come una notte d’inverno, è gelida come il marmo d’una tomba quando non riposi sul Cuore di Gesù. L’egoismo umano agghiaccia la beneficenza, l’amore per l’umanità è parola vuota di senso quando non è riscaldato dal fuoco della carità portata dal cielo, nata in Betlem, cresciuta in Nazareth, perfezionata sul Golgota.

Vinto nella forza materiale, divenuto prigioniero a Sant’Elena, Napoleone il Grande si compiaceva nelle sue lunghe meditazioni a far passare innanzi a sé i grandi personaggi della storia. Di tutti ne ammirava le virtù, ne studiava i difetti, ma quando si vide innanzi la cara e raggiante figura di Gesù Cristo, estatico esclamò:

"Ecco Colui che si è annessa l’umanità!" Parole sublimi o cari, che rivelano l’ingegno di quell’uomo e il vanto che a Gesù solo si deve lasciare.

"Umanità" di questa parola sogliono infiorarsi le labbra alcuni uomini, la cingono come arma, di essa se ne fanno forti, ma a torto, questa è una depredazione, un’ingiusta rapina. Quale uomo ebbe mai tanto amore all’umanità come Gesù? Chi mal come Gesù discenderebbe dal Cielo, o tanto più uscirebbe dalla sua tomba, per annettersi l’umanità, per assumerla negli stadi più dolorosi?

No, nessuno dei mortali per il solo amore all’umanità ritornerebbe alle strettezze dell’infanzia, alle angosce della vita. .. . Non così Gesù del quale è impossibile narrar per esteso tutto ciò che ha fatto per l’umanità. E’ una meravigliosa epopea che gli occhi più non vedranno, ma che la riconoscenza ha scolpito nei cuori.

Il nome di Gesù, fa trasalire le anime; lo ripete la madre sulla culla del suo bambino; lo invoca il morente, raggio di speranza, pegno di perdono....

…..I poeti esaltano la sua gloria, gli oratori ne celebrano la virtù, la pittura, la scultura, la musica ne disegnano l’immagine; l’architettura si rivolge all’inerte materia e la scuote e le grida: "Levati e manda anche tu la tua voce". La pietra trasale, esulta e freme sotto le mani dell’artista ed ecco che s’innalzano al Cielo le volte grandiose, si ergono le maestose cupole delle stupende Cattedrali a cantar l’inno al benefattore dell’umanità.

Il grido dell’innocenza si frammischia alla voce del pentimento, il silenzio dei chiostri ai rumori del mondo: è il grido dell’uomo che loda, che celebra, che esalta Gesù. Egli è il centro di tutti i cuori, il segno dell’unione.

Possono bene gl’increduli strappare una città, un regno, una nazione a Gesù; abbatterne gli altari, spezzarne la croce, lacerarne il Vangelo; ma mentre il turbine infuria, mentre si accumulano le rovine ecco avanzarsi nuovi uomini segnati in fronte dalle acque del Battesimo: l’apostasia d’un popolo è compensata dalla conversione d’un altro; e se una civiltà che precipita a barbarie abbandona la fede, vedete là un popolo barbaro oltre i mari che si redime nella civiltà; i selvaggi riempiono le file abbandonate dagli apostati, gli abitanti delle foreste vengono a cantare l’inno dell’amore a inalberare il vessillo della vittoria. E che cosa è mai questo o miei cari, che cosa è mai questo se non l’umanità intera che viene ad attestare che il vindice d’essa, che il liberatore, il benefattore, è Gesù?

Si udì nella capanna di Betlemme un vagito: era il vagito di Dio che pazzo d’amore per l’umanità, volle assumerla, farla sua. In quel Presepio germogliarono due fiori, che sono i due amori sublimi: L’amore a Dio, l’amore all’umanità.

E’ vero che primo di questi due fiori deve posare sul nostro petto l’amor di Dio; Gesù Cristo è venuto nel mondo specialmente ad accendere questo fuoco:

"Amerai Dio con tutta la tua anima, con tutte le tue forze…"; ma qual segno ci diede per conoscere se questo fuoco è in noi? "Io vi lascio la mia immagine - egli dice -vi lascio l’uomo, amatelo. Tutto ciò che fate al fratello in nome mio Io terrò fatto a me".

Gesù Cristo come uomo è il rappresentante più completo dell’umanità, e chi ama l’umanità, deve necessariamente amare Gesù, come chi odia Questi, dovrà inevitabilmente odiare anche quella. L’umanità sarà amata o odiata né più né meno in quella guisa che sarà trattato Gesù. Ecco l’infallibile misura: chi ama Dio, ama anche il prossimo.

…L’uomo è naturalmente egoista. Un sentimento spontaneo lo spinge a provvedere a se stesso; è una fame che abbiamo dentro che appena vede alcunché di bene la mano vi corre sopra: "Questo è mio". Ora a frenare quest’impeto della natura, anzi a mutarlo in opposto, affinché la mano anziché stringersi s’apra a donare, anziché godere s’adagi a patire per gli altri, occorre un miracolo perché la natura non basta. Ci vuole una potenza che lo sollevi ad un’altra sfera, che ne causi i modi ed attinga i motivi dell’opera non più nell’uomo ma in un mare che non si esaurisce mai: l’amor di Dio.

Si dice spesso: "come amar Dio che non si vede?" Ma non sarebbe meglio dire "come amar l’umanità che si vede, amarla con le miserie, con le viltà, con le sozzure che si vedono?" Vi è chi soggiunge: "come mai Dio, così lontano, nascosto, invisibile, può toccare il mio cuore? E non sarebbe più giusta la risposta... Come mai il mio cuore non si lascia toccare dall’umanità così vicina?

Oggetto di amore, che crea l’infiammata servitù del cuore, è la bellezza. Ma come amare e servire l’umanità coperta di cenci e di piaghe? Si dirà che quel certo sentimento che si prova a veder chi patisce eccita compassione; l’aspetto del dolore fa provar dolore.., ma questo se ben badiamo non ci potrà dare che mostruose contraddizioni, beneficenza ma non umanità. Con questo senso naturale, noi vedremo il ladro che ha rubato a man salda, sentir compassione del poverello e dividere con esso quel pane che gli costò un delitto.., vedremo l’assassino con quella mano che stringeva il coltello e lo piantava in petto al povero viandante, lo vedremo con quella stessa mano correre a sorreggere un suo vicino che cade svenuto. E’ umanità questa? No, questa sarebbe quella larva d’umanità che i filosofi del secolo passato per conquistare le moltitudini nascosero sotto il nome di filantropia che, come disse bene un moderno oratore, non è che l’ipocrisia, la negazione, l’ironia della umanità e della beneficenza e ne toglie la sostanza per lasciarvi un fantasma.

Fra l’amore all’umanità portato da Gesù e quello spremuto dalla filantropia, V’è tale differenza come tra il cielo e la terra. La filantropia è come quelle piante portate a noi dall’America, a cui basta una brina, un fiato per avvizzirle e svellerle dal ramo; mille sollecitudini occorrono perché portino frutto, e poi sono frutti stanchi, stantii che non hanno sapore. E’ il ladro che fa elemosina, è l’assassino che porge soccorsi.... Che questo sentimento, questa compassione nel vedere la miseria, sia poi frutto della filantropia non lo so.

Ad ogni modo anche se i frutti della filantropia sono smilzi e facili a corrompersi, essi sono però frutti, occorrerà un palato più grossolano e meno delicato; ma tant’è di fame non moriremo. E poi è forse vero questo? Quel dolore che si prova dinanzi al dolore è poi vero che sia in noi naturale? Se la natura basta ad eccitano, perché allora l’uomo in quattromila anni non seppe trovarlo nel proprio petto? E perché pensatori profondi, Socrate, Platone, ... non seppero sprigionare questo fuoco di sotto la cenere e togliere quel giogo di ferro all’umanità degradata?

Cerchiamo un po’ questo amore dell’umanità, prima della venuta di Gesù Cristo e che cosa ne hanno detto gli antichi maestri.

Marco Aurelio, Imperatore filosofo, uno dei più celebri saggi del paganesimo, dichiara in modo chiaro che la compassione per gli sventurati è follia.

Seneca, vantato moralista, dopo belle parole esprimenti sensi d’umanità, scrive che la compassione è un vizio delle anime deboli e che il vero sapiente non sente pietà.

Cicerone così compendia alcuni suoi detti: "Non ha compassione se non chi è pazzo; lasciarsi vincere dalla compassione è delitto". Si freme a queste massime; ma se ciò fosse naturale, perché l’amore del misero non uscì dal seno dell’umanità a vendicare l’oltraggio, a lavare l’onta di chiamar follia, delitto, la compassione, la pietà per il povero e per l’infelice? Ben s’intende che anche l’uomo ben nato, anche l’ingegno più bello se non è nobilitato dal cristianesimo, se non è un fiore cresciuto all’ombra di Gesù, per l’umanità presa nel suo insieme, non potrà avere che disgusto, disprezzo, orrore.

Noi da soli, non vogliamo bene agli altri. Noi amiamo chi ci piace e ci soddisfa, chi ci lusinga, dunque noi amiamo noi stessi; ma non amiamo gli altri.

Quando Gesù non era ancora venuto al mondo ad annettersi l’umanità Epiteto ravvisava nel povero un pozzo fangoso; in Atene ed in Egitto il mendicar pane era delitto di morte....

…Portatevi a Roma ai tempi di Augusto: l’aquila romana stende l’ali su tutto l’orbe, la grande nazione è giunta all’apogeo della gloria, le arti e le scienze fanno prodigi; ma intanto non vedete quella moltitudine di esseri viventi che s’aggirano pallidi e smunti come spettri? Che cos’è questo brulicame di creature che infesta le piazze e gli spalti? Dall’aria stupida e dalla sconcia persona traspare alcunché d’indecente e feroce: sono gli schiavi.

In Roma a soli ventimila persone era concessa libertà, e a queste ne erano soggetti quattro milioni di schiavi; mirate lo scarso pane, i colpi di bastone che si caccia loro nei reni come a bestie da soma; quell’anello che vedete fuori è per tenerlo schiavo incatenato alla porta del padrone, come il cane dei nostri cortili; e nell’isola che sta di fronte al Tevere si mandano a morir di fame allorché le spalle più non reggono alla fatica. Noi fremiamo, noi che respiriamo l’aura benefica della carità di Gesù, noi fremiamo; ma allora l’uomo guardava freddamente questo spettacolo, e Poglione, amico di Cesare, nutriva i porci e le murene del suo giardino, gettando loro vivi gli schiavi. Petronio nella vita dei Cesari, fa fremere di raccapriccio al racconto delle sevizie cui erano fatti segno gli schiavi, che il padrone poteva trattare come meglio gli talentava. Se fosse vero che bastasse la natura a suscitare sentimenti di compassione per l’umanità, non era forse natura umana quella?

Aristotele definiva la schiavitù non meno giusta che utile; Platone chiamava gli schiavi esseri immondi di cui voleva spazzar la città e Catone non vedeva bene che si gravasse la repubblica di tanti esseri inutili. Una tal ferocia di idee e di sentimenti dominava che perfino la matrona romana, batteva le mani e sorrideva al vederla tigre che stringendo la gola al gladiatore versava le viscere in un lago di sangue.

Oh, natura, natura dell’uomo dove sei? Vieni a destare un palpito in questi cuori di ferro, di loro che cessino di divorarsi, sono fratelli. No, la natura non seppe dirla questa parola, ci volle Gesù. Sì, fu Gesù Cristo che prese l’umanità, se la fece sua, se la pose sul cuore, e di lei diventò rappresentante solidale: "tutto ciò che farete all’uomo sarà come fatto a me".

Appena Gesù ebbe spirato sulla croce, una nuova era apparve ed il regno dell’amore puro e disinteressato è stabilito: si ama l’uomo per Iddio, si ama Dio per mezzo dell’uomo. Oh grandezza, oh sublimità d’amore. O uomo ecco Gesù Cristo il benefattore dell’umanità, ecco il principio d’ogni beneficenza.

….L’uomo preso a sé non può esser benefico, e neppure sentire umanità: l’uomo non solo non sa ispirar umanità, organizzar beneficenze, ma neppure capirle, comprenderle.

Per tre secoli continui il mondo, la natura umana abbagliata, dirò così, dalla luce insolita, straordinaria, celeste della carità di Gesù, la perseguitò per ogni dove. Tutto si mise in opera contro la carità, pregiudizi, costumi, istituzioni, filosofia. Come un uomo che muore, vicino alla sua distruzione, fa ogni sforzo per combattere la morte, così la barbarie umana, la tirannia sfogò da disperata il suo furore.

Chi può formarsi un’idea del sangue sparso, chi può numerarne le vittime? La carità di Cristo, non compresa, dovette nascondersi nelle Catacombe. Trecento anni ci vollero prima che la natura si capacitasse, che la compassione, la pietà, l’umanità, anziché esser delitto siano considerate virtù, e virtù da paradiso. Sì, solo allora l’uomo poté mirar la bellezza di quel Fiore spuntato nel Presepio, poté sentirne la fragranza, solo allora sorse una civiltà in cui si rispetta come nell’uomo la più nobile delle forze, così nella donna la più sacra delle debolezze.

Vedete quella giovinetta di nobile stirpe, dotata delle più elette qualità di mente e di cuore? Ella è amata da tutti. Il mondo non ha per lei che lusinghe; ma un giorno una voce più potente le parla al cuore: "Ascolta, - le dice - abbandona la tua casa, perché il Re dei re è preso dalla bellezza dell’anima tua". Ed ella dà l’addio ai suoi, veste l’abito religioso, è un angelo d’amore e di misericordia; al letto degli infermi ne fascia le piaghe ributtanti, sul campo di battaglia tra i feriti, tra i morenti, tra i morti, soccorre gli uni, insegna agli altri a ben morire, mormora una prece per i caduti sul campo dell’onore. E’ il fiore del Calvario che manda il suo olezzo.

Portiamoci sulle cime del San Bernardo, su quelle vette ove regnano le nevi perpetue. E sera, è notte; nella chiesa risplendono i lumi, risuonano i canti. Un giovane dal cuore ardente è disteso sul pavimento, un vecchio gli sta accanto:

"Persisti, figliuolo nel tuo disegno? - Sì, Padre, persisto. - Giuri di restare in questo deserto a salvezza dei poveri smarriti? - Sì, Padre, lo giuro. - La pace sia con te". Quel giovane si alza e malgrado la bufera che si scatena, la neve che acceca, il freddo che agghiaccia, comincia la sua missione. Ma talora la valanga lo travolge, e la neve simbolo della purezza della sua anima diventa suo funebre lenzuolo, sua tomba.

E’ la carità di Cristo che fa dolce il morire per salvare i fratelli.

Giovanni Dalmata, Pietro Nolasco, fondano l’ordine per la redenzione dei poveri schiavi e nulla spaventa i suoi seguaci, né i pericoli di mare, né barbarie di popoli, essi sono pronti a dare la vita per la loro opera d’incomparabile amore.

Giovanni di Dio preso dalla santa follia dell’amore per l’umanità, si consacra a servire i pazzi. I Ministri di Camillo de Lellis fanno voto di servire gli appestati, la Madre Fenelon, ... Monsignor Affre, il Cottolengo, Don Bosco. Ah io mi perdo in mezzo alla falange di campioni che lavorano per l’umanità. Tutto ciò che vi è di bene, di beneficenza nel mondo è opera della carità ispirata da Gesù Cristo.

Difatti amare l’uomo quando in fronte è segnato dall’impronta della bellezza, amarlo quando a lui si lega l’interesse, amarlo oggi sì domani no, restar freddo e poi odiarlo, questo si è veduto e si vede continuamente è adulazione capricciosa del cuore. Amare un essere privilegiato, un amico è egoismo, si ama perché piace; ma elevare il nobile edificio della carità sulle rovine di ogni egoismo, di ogni interesse, di ogni piacere, di ogni amor proprio, estendere questo amore gratuito agli uomini, sempre e dappertutto; dire all’uomo disceso al grado di bruto, dire al selvaggio: io ti amo; amare l’uomo quando la deformità della persona, le ingiurie dell’età, la degradazione del vizio, recano indicibile disgusto e ripetere col Cottolengo: "Voi siete le mie gemme", questa è la più grande meraviglia che abbiano veduto i secoli. Questa meraviglia non è che l’opera di Gesù.

Solo Gesù può ispirare la forza di attuarla. Vogliamo vedere la causa di tanto eroismo? Essi guardano Gesù e in Lui vedono l’umanità; guardano l’umanità e in essa vedono Gesù.

Amanti appassionati di Dio, diventano necessariamente amanti appassionati dell’umanità.

E i secoli, e i popoli e le nazioni, come saranno verso l’umanità? Saranno freddi o caldi o tiepidi secondo che saranno rivolti a Dio.

Si dirà forse che la logica dei fatti si smentisce, si dirà che vi sono uomini che bestemmiano Gesù Cristo, eppure operano grandi cose a sollievo dei miseri, a beneficio dell’umanità. A questo risponde il Cesari dicendo: Se fanno qualche cosa di bene lo debbono ancora al cristianesimo, nel quale nacquero, nel quale furono educati, nel quale si trovano.

Senza questa divina virtù che ha rigenerato il mondo né avrebbero fatto quel bene, né vi avrebbero pur pensato. Ciò che operano di bene sembra frutto della loro virtù personale, ma invece non è che germoglio del cristianesimo, alito di quell’aura in cui tutti vivono, che tutti respirano e senza la quale la società rimarrebbe soffocata e spenta. Sì, si avrà compassione, si mostrerà pietà anche da parte dei nemici di Cristo, finché questi avranno Cristo di rincontro per fargli un contro altare, perché si sa che vanto tutto di Gesù è il sollievo dell’umanità.

La maestosa figura di Gesù, fosse anche solo per combatterla, non si perderà più di vista, tanto è scolpita nelle menti e nei cuori. Ma se tanta sciagura avvenisse, tolto Gesù, perduta sarà ogni idea d’amore all’umanità.

Quel secolo che cominciò col motto: "schiacciamo l’infame", finisce con uno spettacolo che fa rabbrividire. Fu organizzata la morte, e i mostri che dominavano avrebbero voluto compiere il sogno di Nerone, dolente che l’umanità non avesse una sola testa per farla cadere con un sol colpo. L’odio contro Gesù in cielo, appare quale odio contro gli uomini sulla terra. Cacciato Gesù, mentre si parlerà di libertà verrà esercitata la tirannia, inculcando fratellanza si semineranno discordie fraterne, magnificando la filantropia tutto si sacrificherà all’interesse….

….Abbiamo vera compassione dell’umanità e ameremo Gesù. Amiamo Gesù e noi saremo fornaci d’amore per l’umanità....

AI: "Sermones", ASO Botticino