Sant'Arcangelo Tadini                                 Angelo di Verola
Canonizzato il 26 Aprile 2009 da Benedetto XVI
proclamato Beato il 3 ottobre 1999 da Giovanni Paolo II


da, Sermones,
Archivio Suore Operaie, Botticino Sera

(AI: Sermones, ASO Botticino Sera)

Scritti e Omelie

RIFLESSIONI SUL PECCATO

Omelia

Quale argomento più consolante e più caro potrà mai esservi per il cuore del cristiano di quello dell’infinita misericordia di Dio?

Oh, come s’allarga il cuore al veder questo misericordioso Dio che qual padre amante se ne sta sulle alture della casa a spiare se mai arriva il suo figlio che gli è fuggito lontano, e quando Io vede precipita per le scale per correre a fargli festa e stampargli il bacio di pace sulla fronte.

Veder questo misericordioso Dio che qual tenero pastore avendo smarrita una sua pecorella abbandona le 99 per andare in cerca della perduta, sudar per balzi e dirupi finché trovatala se la piglia alla vita, la porta sulle spalle all’ovile, per castigo medicarle le piaghe e per ricordo darle manate di erba più buona!

Sentir questo Padre dire che in cielo si fa maggior festa per un peccatore convertito che per cento giusti!

La gioia interna ci si dipinge sul volto, un raggio di celestiale allegrezza penetra in noi e ci consola. Eppure, che volete, tante volte piuttosto di parlare di Misericordia, il prete starebbe più volentieri ritirato a piangere, o a gemere e sospirare ai piedi di Gesù. A dirvi il vero anch’io (ieri sera) avevo presente il triste pensiero che invece di allargare il cuore alla confidenza, all’amore per Iddio, avessi reso più baldanzoso il peccatore a commettere il peccato. Finita la predica oppresso da questa tetra idea dovetti esclamare spaventato: "oh Signore, avrò forse io allargata la via alla colpa? Peserà forse sulla mia coscienza qualche peccato? Toccherà a me rendervi conto perché quel giovane appoggiato alla vostra misericordia continuerà in quella sua vita di disordine? O Signore, innocens ego sum a sanguine huius.

Io ho allargato il cuore alla conversione, ho appianata la via al ritorno. Non ho detto mai che perché Dio è buono si continui a scapricciarsi, ma ho mostrato apposta queste braccia aperte per abbracciar chi ha peccato e perché ne senta dolore.

lnnocens ego sum. Sì, promisi in nome di Dio il perdono di qualunque delitto, di qualunque eccesso, ma a coloro soltanto che aborriti i loro vizi, pentiti si gettano come la Maddalena a bagnar di calde lacrime i piedi dell’amabilissimo Redentore.

lnnocens ego sum. Mi conforta pure il pensiero di trovarmi in mezzo ad una eletta schiera di fervorosi cristiani che se mai caduti cercheranno nella divina misericordia, il perdono e l’emenda. Che se mai tra di voi vi fosse quest’ingannato che dicesse o con le parole o con i fatti: "continuiamo a peccare che già Dio è misericordioso e ci perdonerà", sono qua stamattina a pregarlo di non fidarsi di questo pensiero diabolico perché se infinita è la misericordia, uguale pure è la giustizia di Dio...

Oh, anime sante del Purgatorio, voi sebbene bisognose dei nostri aiuti potete ottenerci da Dio grazie speciali; deh, otteneteci questa, di ben intendere la terribile verità. (…...)

Quand’è che si dice di un infermo: è inevitabile la morte? Quand’è che il medico scrollando la testa dice: non vi è più rimedio? Allorquando vede che le medicine non ottengono i loro effetti. Che direste voi del povero ammalato del quale i medicamenti non già solo non portano la salute, ma anzi diventano veleni? Ah, non vi è solo un miracolo che lo possa salvare! Ebbene io dico che per chi abusa della misericordia di Dio per continuare a peccare, non vi è altro che un miracolo che lo possa ritenere dal precipitar nell’inferno. Perché che altro è o miei cari la misericordia di Dio? Non è altro, per così esprimermi, che una medicina che Dio ci presta per rimediare ai nostri mali.

Dio santità infinita, non può fare a meno che odiar il peccato. Egli lo vorrebbe distrutto e per questa ragione mandò il suo Unigenito Figlio a farsi uomo. Tutta la vita di questo Divin Redentore dalla nascita alla morte, dal Presepio al Calvario, tutta fu impiegata per distruggere il peccato,.. Ma per qual fine? Osservate il cacciatore nell’atto di uccidere gli uccelli. Vedete come si muove pian piano, come si abbassa talvolta e si rimpicciolisce fino a terra, e perché? Perché vuole ammazzar l’uccello. Ecco dunque dove mirano tanta pazienza, tanta placidità, tanto silenzio per le nostre trasgressioni, tutto è a fin di trafiggere con mortale colpo il peccato.

L’odio di Dio è diretto contro la colpa, ma quando la colpa sta nell’uomo per ragione di essa indirettamente odia anche il colpevole, per questo usa tanta amorevolezza e tante umiliazioni, al fine di separare il peccato dal peccatore, distruggere quello e salvar questi. Tale è il motivo della bontà divina nell’aspettarvi a penitenza, nell’invitarvi, nell’accogliervi.

E’ per distruggere il peccato, suo capital nemico, che usa tutte quelle finezze e versa sulle nostre ferite quel balsamo per risanarle. Vuoi toglierci quella febbre cocente che abbraccia e consuma l’anima nostra e ben ne è potente questo farmaco, non c’è malattia che gli possa ribellarsi. Ma se tu questa misericordia, che è balsamo, la convertì in ferro micidiale che ne esaspera sempre più la ferita; se questa misericordia, che è medicina che guarisce, la converti in veleno che uccide; se tu dunque o peccatore scorgendo la misericordia infinita di Dio, non vai dicendo:
Oh, quanto è grande la bontà di Dio, ah ripeto, non dobbiamo altro dire che non vi è che un miracolo che ci possa salvare. Perché se Dio vedrà che dopo tanti mezzi usati, dopo tante chiamate, dopo tante preghiere pur non giunge a distruggere il peccato nel peccatore, distruggerà il peccatore nei peccato. E allora peccatore mio caro quale sarà la sorte che ti toccherà subire?

Gesù Cristo si avvicinò un giorno alla Città di Gerusalemme, gettata un’occhiata su quel tempio che maestoso e sublime si ergeva al cielo, su quelle torri che la difendevano, su quelle mura che la circondavano, su quegli edifici che la adornavano, chinò il capo e pianse. E piangendo esclamò: "Oh! Gerusalemme, Gerusalemme! se tu sapessi quel che ti aspetta! Dite non rimarrà più pietra sopra pietra. Ti assedieranno i nemici, sarai presa d’assalto, ridotta ad uno squallido deserto, nido ai serpenti e tana di fiere".

Ma o Signore perché una fine si miseranda alla Vostra Gerusalemme, non è ella la città vostra prediletta, culla e sede di persone a voi si care? Perché tanti mali? Perché non seppe approfittare delle grazie divine, perché quel popolo fu sordo alle chiamate del cielo, non approfittò della divina misericordia.

Oh quale castigo!… Fratelli ecco un’immagine della sorte riservata al peccatore ostinato. L’ira di Dio pende sul suo capo. Tarda essa tante volte a scoppiare perché il Signore è misericordioso: tace e aspetta ma alla fine stancata dall’iniquità, dall’ostinazione dell’uomo, quest’ira scoppia tremenda, inesorabile, tanto più inesorabile, tanto più tarda, tanto più tremenda quanto più grande fu l’abuso dell’uomo e quanto più mirabile fu la misericordia, la pazienza di Dio nell’aspettare. Alla fine scoppia e chi difende allora l’infelice peccatore dalla giustizia di Dio? Oh misericordia santa aiutatelo voi! Ma che misericordia se di questa non se ne e servito che per perseverare nella colpa! E’ giusto gran Dio che facciate conoscere chi Voi siete, è giusto che l’uomo finisca una volta d’insultare la Vostra bontà; è giusto che mostriate agli uomini, come Voi ci siete e vedete e sentite e sapete a tempo perdonare e a tempo punire. (......)

Basta o peccatore, la tua ora è suonata, Dio l’hai offeso abbastanza. Si o fratelli in Gesù Cristo c’è bontà, c’è misericordia; ma c’è anche giustizia. Egli sa piangere su Gerusalemme ingrata ed ostinata, ma sa anche maneggiare il flagello della giustizia. Quando Dio sarà stanco di usarci misericordia, darà mano alla giustizia. (…....)

E qui vorrei che mi ascoltassero quei peccatori, i quali al veder impunite le loro colpe prendono animo sempre di più per accanirsi nel peccato dicendo: peccavi et quid mihi accidit? Ecco io bevo come acqua ogni sorta di peccati, e intanto dove sono quei castighi tanto minacciati dai preti? Miei cari che importa a noi preti dei vostri peccati? Forse che ce ne viene un danno a noi dalle vostre colpe? Tolto che ci dispiace veder Dio che è sì buono e che merita amore vederlo così strapazzato; ma del resto o fratelli noi siamo come la buona madre che al veder il figlio sull’orlo del pozzo gli grida, anzi no gli si avvicina pian piano perché non si spaventi e cada, lo piglia alla vita, mostrandogli il pericolo gli dice: vedi quel profondo, là vi saresti caduto in quell’acqua. Così noi preti, ci piange il cuore allo scorgervi in quei pericoli, vorremmo potervi prendere alla vita, e così sulle nostre braccia portarvi al sicuro, in Paradiso.

Ma Dio che vuole che voi operiate per convinzione e non per forza non ce lo permette, noi allora, via a corrervi dietro a scongiurarvi, a pregarvi di riflettere che state camminando non già su strada sicura, ma su precipizio coperto di ghiaccio che certo quanto meno ve io aspettate vi mancherà sotto i piedi e voi sarete rovinati, li mondo ci deride perché è nemico della verità, ma noi finché avremo vita non vi abbandoneremo mai, no, ci costasse pure qualunque sacrificio, saremo sempre alle vostre spalle perché è troppo l’amore che vi portiamo…..del resto, o miei cari, se questi castighi non ci fossero neppure vorremmo annunciarveli. Non è voglia di spaventarvi che ci conduce sul pergamo è amore per voi e timore che voi vi abbiate a cader dentro.

Dio tollera e dissimula le nostre offese perché non si è ancora riempita la misura dei nostri peccati, ma poveri noi se giungeremo ad oltrepassar questo numero! Si sveglierà allora Dio, dice il salmista, da questo apparente e misterioso sonno ed ebbro di furore ci chiamerà a rendergli conto.

Rendimi conto, tuonerà dall’alto, rendimi conto di tutti i tratti di misericordia che ti usai. Credevi ch’io non sentissi le tue bestemmie, mi credevi indifferente alle tue disonestà, alle tue ubriachezze, alle tue ruberie? Ah! perché ero buono, perché ti sopportavo per portarti a penitenza, tu sempre ostinato mi offendevi?

- Oh Signore, perdonatemi, adesso vi ho inteso, non abuserò più della vostra misericordia. Ma adesso tempus non erit amplius, non vi è che giustizia. Eh ma questo non succederà a noi non è vero? Ormai siete persuasi che la misericordia è infinita riguardo ai passato, che per i peccati passati non avete che a pentirvi e siete sicuri del perdono. E’ dell’avvenire che dovete temere. Voi adesso siete sicuri di non aver raggiunta quella misura, e rimediate a tutte le colpe passate, fossero pure migliaia, con una buona confessione.

Che importa se Sant’Agostino s’ingolfò in ogni nefandezza, mentre prima che si compisse il numero Egli ne fece penitenza e diventò un gran Santo?

Che importa se Maria Maddalena fu pubblica peccatrice quando prima che si empisse la misura si convertì e si fece santa?

Invece che giova ad un Giuda l’essere stato confidente, Apostolo di Gesù, se con quel tradimento compì il numero e precipitò nell’inferno? (…...)

CECITA’ DEL PECCATO

Quale direste voi che sia, tra le cose inanimate, la creatura la più bella, la più gentile, la più graziosa, la più importante, la più necessaria? Voi mi rispondereste subito che è la luce. Bene lo sanno i ciechi, e con loro il cieco di Gerico che, bramoso di goder della benefica luce, al sentir passare per la via il Divin Salvatore gridava con quanta forza aveva in gola: "Domine ut videam, Domine ut videam" Signore ch’io veda.

Sì, sì, grida, piangi o infelice uomo, che ben ne hai motivo. Cosa sono per te questo mondo sì bello, questo sole che splende, questi prodigi di natura? ... Sono un nulla, come se non esistessero. Trovarti dinanzi a un grandioso palazzo per te è come esser davanti ad un mucchio di sabbia. Lo splendore del sole per te è come la tenebra della notte. Povero cieco! Tu non conosci il tuo genitore, né vedesti mai le tenere sembianze della tua cara mamma. Sì, grida che hai ragione al figlio di Davide: Miserere mei.

Imitassero l’esempio tutti coloro di cui tu ne sei la luttuosa immagine! Potessi io persuaderli della terribile cecità da cui sono presi a causa del peccato. Potessi strappare dal loro cuore più che dalle loro labbra quella bella preghiera che ti valse la guarigione. Domine ut videam.

Ecco pertanto miei cari l’oggetto delle mie poche parole: occorre attentamente guardarsi dal peccato, perché per quanta luce possa godere un cuore umano, il peccato non mira che ad accecarlo.

Prima però di riempirci il cuore di tristezza a contemplare le rovine del peccato nell’uomo che lo commette, fermiamoci per qualche istante in uno spettacolo caro e consolante, vale a dire, osserviamo un buon cristiano in grazia di Dio. O voi uomini onorandi che mi udite, donne ferventi, fedeli servi di Dio, che cosa c’è sulla terra di più chiaro, di più illuminato di Voi, vasi di elezione e di grazia? Quanto è piena di scienza la vostra mente che riposa in Dio!... il sole che nel bel meriggio di estate entra nelle stanze, passa per ogni luogo a ricrearvi gli antri più nascosti, a portarvi la sua luce fin negli angoli più acuti, è appena una debolissima figura della limpidezza e delle splendore che rischiara e illumina l’anima cristiana in grazia di Dio. Ella guardando nella Religione vede la magnificenza dell’opera di Dio. Scorge le verità tutte che, quali simmetriche colonne, s’innalzano a sostenere quella catena che tutte le unisce per formarne una sola: Dio che le ha rivelate. L’Unità e la Trinità di Dio, l’incarnazione del Verbo, la Divinità di Gesù Cristo, la Sua Morte e Risurrezione, la Copiosa Redenzione del Salvatore, la fondazione della Chiesa, la stabilità della medesima, l’infallibilità del suo Capo, per l’anima cristiana perdono, direi, quasi della loro misteriosità, ella ne scorge la chiarezza e ne vede il sublime intreccio che tutte le collega insieme e ne forma una sola.

Nelle tentazioni ella scorge la prova della sua umiltà, e a Dio, sua fortezza, si avvicina per poter vincere nelle persecuzioni.

Nelle disgrazie e disavventure della sua persona, mira sulla porta di casa Gesù che, or qual tenero bambino ignudo sulla paglia, or straziato da flagelli,

inchiodato in croce le dice: lo ti amai fino a questo punto, dammi un segno del tuo amore, contraccambia in qualche modo quanto ho patito per te.

Vede nelle astinenze un mezzo sicuro a tenere il corpo soggetto allo spirito, nelle pratiche di pietà, i puntelli e gli aiuti a camminare spediti sulla via del Cielo.

L’obbedienza che pure è così dimenticata, per lei è il viaggio che più illumina, in essa trova la sua quiete, la sua pace. Chi obbedisce è sicuro di non mai errare.

Quando poi le si porge l’opportunità di rinnegare il proprio volere, è tutta in giubilo perché in questo vede la sua principale grandezza.... faccio la volontà di Dio, di quel Dio che tutto ciò che vuole è bene e sommo bene. (.....)

Ma non è di ricchezza e di gloria il mio argomento; di oscurità e di tenebre intendo parlarvi.

Come è possibile che tanta scienza possa volgersi in abominio e vergogna? Che questa mente sì illuminata possa venir gettata in tanta orribile cecità fin da perdere il lume della fede e della ragione? Purtroppo è vero, con la fronte nella polvere dobbiamo dirlo, l’uomo è debole. Ahimè, giganti dai piedi di creta siam facili a cader nella fossa, e allora che avviene del povero peccatore? Che avviene? Il lume della fede corre pericolo nel cuore perché le passioni dispongono all’infedeltà.

Non par certamente vero che un cristiano possa ridursi a tanta insensatezza da non riconoscere per Iddio quell’amabile Salvatore da cui fu ricomperato col sangue. Il colosso dell’idolatria dopo essere stato gettato a terra dalla Chiesa è cresciuto in una montagna sì sterminata, che occorre essere affatto cieco per non vederla. Sì, a questa cecità purtroppo vi conduce il peccato.

Sapreste voi dirmi perché tanti ai nostri giorni perdono la Fede? Perché le file dei veri credenti si son così decimate e la ciurma degli atei va sempre più crescendo? Non cercate altrove la ragione, la causa sta qui e qui troveremo il perché: i peccati fecero apostatare i sapienti.

(…..)  Il peccato che é menzogna ed inganno non può soffrire la verità, e fa plauso a chi segue il padre della falsità: il demonio.

Ecco, ecco il perché delle frequenti apostasie.

E’ il peccato che fa dire a quell’uomo che non vi sia l’inferno, perché quello è il fine che lo attende.

E’ il peccato che fa chiamare il paradiso, una favola di Preti, perché le sue colpe gli tengono chiuse le porte.

La vita religiosa degli altri è un rimprovero al peccato che deride la pietà.

Il prete cattolico è messo da Dio a togliere la colpa, il peccato lo odia, lo perseguita. Ah, sì, non è la mente dell’uomo di per sé cieca, non il cuore umano guasto ma é il peccato che ne porta l’accecamento e la rovina. Non è perché si è perduta la fede che si commette il peccato; ma si perde la fede perché si pecca. (…...)

Non capite come mai adesso ci sia poca fede, non si ascolti la parola di Dio con quel desiderio e riverenza necessari? E’ perché il peccato baldanzoso gira per le nostre contrade, non solo passa per la città ma anche per i paesi; entra nel palazzo del ricco come nel tugurio del povero per portarvi desolazione e spavento.

Tu vai pensando: dicono che a peccare ci si tira addosso castighi; io ho peccato e non me ne sono ancora capitati. Non vedi che hai perduto la fede, che le verità più tremende le accogli con un ghigno beffardo, e che se pure qualche volta fan breccia nel tuo cuore tu cerchi subito di scuotere da te quel santo timore che sarebbe il principio della tua salvezza? Peccasti e hai perso la fede. (………)

Il peccato ti ha accecato la mente. La viva luce della religione più non ti dardeggia l’intelletto; l’anima tua oppressa dalle tenebre è diventata insensibile, più non sente l’azione né della fiducia, né della speranza, né del timore, né della carità. Tu sei un povero e miserabile cieco. Tu sei nel grembo della Chiesa circondato da tanti mezzi per far bene, tanta luce ti splende intorno e non vedi nulla, non t’accorgi di nulla.

"Jesu, Jesu fili David miserere mei" Ecco ciò che ti resta. Gridare colle lacrime agli occhi e col dolore nel cuore: "O Gesù figlio di David, abbi pietà di me". Tu hai persa la fede e non ne sei persuaso. Ebbene, vuoi proprio sapere il perché? Eccotelo. E’ dottrina teologica, saldissima che qualunque peccato mortale, come veleno di sua natura sommamente maligno, mortifica, affievolisce la fede, la snerva sicché resa difforme a cagione della perdita della carità, se ne rimane inabile e non produce operazioni meritorie di vita eterna. Sembra più morta che viva. Ora siccome non si tien mai lungamente in casa un cadavere; così lungamente non si tiene in cuore una fede morta.

Se così è o miei cari d’un peccato solo, ditemi che sarà poi dove i peccati si moltiplicano sopra il numero dei capelli?

Parlo dite o peccatore che sei, così per esprimermi, quasi sepolto nelle colpe; dite cui ogni luogo ti rinfaccia disordini sopra disordini, la casa, le tue rabbie, le tue disubbidienze, il campo, le tue bestemmie, i compagni, i tuoi discorsi disonesti, le strade, i tuoi scandali, le tue nefandezze... Ah, dimmi, fra tanti venti sì torbidi, si tempestosi che da ogni parte soffiano per sconvolgere un cuore, credi tu che non abbia a correre grave pericolo di spegnersi quella bella luce di fede che Iddio nel santo Battesimo accese nelle nostre anime?

Parlo dite peccatore, della tua cecità di mente in cui sei caduto. Veder quel tuo comportamento o padre, quella tua maniera di vivere o donna... Ma come mai tu senza accorgerti, vivi sicuro, anzi con certa baldanza vai portando in giro la tua fronte provocante, spiegami questo mistero: hai occhio e non vedi, orecchio e non odi, i tristi ridono dite, i buoni ti piangono, i deboli mormorano, i tuoi Superiori sospirano e tu solo pare che ignori te stesso e non provi per la tua coscienza, che è un’ulcera incancrenita, né rimorso né pensiero? (.......)

Vi sono verità tremende. L’inferno, quella spaventevole caverna di fuoco eterno, ma è mai possibile non temerla? …

Ma ecco che la tua cecità sorpassa quella del cieco di Gerico. Egli almeno conosceva la sua grande disavventura, vedeva Io stato suo miserabilissimo, sapeva d’esser cieco; e difatti persuaso della sua infelicissima condizione, appena sentì che passava Gesù si mise a gridare: Domine ut videam". Ma tu per nulla convinto della tua miseria, anziché cercar di vedervi, vai sempre più sprofondandoti nelle tenebre della tua cecità. E questo è il male più spaventevole che apporta il peccato all’anima cristiana.

… Il peccato veniale non toglie la grazia ma dispone però al peccato mortale. E’ pure vero che il peccato mortale non toglie la fede, ma è pure vero che a poco a poco introduce all’infedeltà.

… Ma perché stancarmi per provarvi la vostra cecità se una volta persa la fede è inutile cercarla nelle dispute e negli umani ragionamenti. E’ tempo sprecato presentar immagini a chi non vede. Per costui non resta altro che, con quel vivo desiderio e con quella brama ardente del cieco di Gerico gettarsi nella preghiera per dire e ripetere a Dio: Domine ut videam. Bisogna guarire il male e toglierne la causa.

… Avrei potuto dimostrarti la somma offesa che si fa a Dio peccando, la perdita della grazia di Dio, la distruzione dei meriti acquistati colle buone opere. Sì, i mali che il peccato apporta, sono quasi direi incalcolabili. Li avrei potuti mostrare innanzi alla vostra considerazione; ma a questi si potrebbe ancora rimediare in qualche modo, ma se perdi la fede o fratello carissimo, chi mai ti ridonerà all’amplesso di questo Crocefisso, alle sue braccia, al suo cuore? (…)

IL TRIPLICE PECCATO

… Il peccato, mostro di tutti i mostri, dopo aver data molte a quell’anima che Io generò, dopo aver rovinata quella terra ove fu dato alla luce, dopo aver sconvolte tutte le ragioni umane, non solo da innumerabili viene adorato più che il medesimo Dio, ma ancor più viene adorato ad un costo sommo perché per esso non temono i peccatori di sacrificare sé medesimi ad una eternità di supplizi nel baratro infernale.

Oh peccatore che cosa adori tu peccando? Adori chi ha rovinata la terra, seminandovi triboli e spine. Adori chi portò i dispiaceri, i dolori, le lacrime, le disperazioni. Adori chi ti getta in un letto che ti strazia con spasimi. Adori o figlio chi t’uccise i genitori, o sposo adori chi ti tolse la moglie, ma che dico io mai, o peccatore tu adori chi attenta ai tuoi giorni, chi finirà coi dare la morte anche a te stesso.

Non è esagerazione miei cari, è pura verità. La causa d’ogni sciagura è il peccato e dal peccato la morte: per peccatum mors. E tu lo adori? E tu te lo tieni in seno e gli offri l’incenso del tuo cuore? O vergogna, o insensatezza, adorarlo in luogo di Dio e ad un costo sommo. Non è forse vero o cari che la massima parte degli uomini rinunzia al paradiso per il peccato per precipitare nell’inferno? Non è vero che questo brutto mostro gira baldanzoso per ogni luogo? Ora, non sta più nascosto nei lupanari più sozzi, nei ridotti più vili, ma corre per le contrade più illustri, passeggia per le città, entra nei palazzi dei grandi, non meno che nei più vili tuguri del popolo, s’intromette nelle conversazioni, nelle adunanze, ed ahi vituperio dei nostri giorni, entra perfino nelle chiese a profanarne gli altari, a contaminarvi i sacramenti.

Si ha vergogna a farsi veder buoni, a far opere buone, solo a commettere il peccato non si ha vergogna. Si ha vergogna ad invocar Gesù con una giaculatoria, non si ha vergogna a bestemmiare... a farsi veder disonesti. Andar in Chiesa, ascoltar Messa, confessarsi, guardi il cielo. Far vendette lanciar imprecazioni, lavorar la festa, far contratti illeciti, tradire il prossimo, rubare .... queste son glorie! Oh sì, siamo arrivati ad un punto da gloriarsi d’esser peccatori. Si vantano di commettere peccati e perfino fingono d’averne commessi e non è vero... Ah il cuor non mi regge d’andar innanzi in una sì abominevole, ma purtroppo vera pittura dei nostri tempi, e anziché parlarne, amerei meglio andarmene in una solitudine a piangere la perdita di tante anime che ridendo e scherzando se ne vanno a precipitar nell’inferno ….

Oh potessi, o miei cari, farvi vedere la somma malizia, l’orrenda bruttezza, l’enormità mostruosa del peccato mortale, cioè di quei pensieri della mente, come dubbi in materia di fede, giudizi temerari, cattivi progetti, desideri disonesti, compiacenze, odi, invidie, avversioni; di quei discorsi di lingua come bestemmie, discorsi disonesti, spergiuri, imprecazioni, mormorazioni, calunnie; di quelle indegne azioni vietate, come furti, omicidi, adulteri, vendette …

Ma confessar dobbiamo in ossequio alla verità con il Profeta Davide, che non è possibile a noi miseri ciechi avere un’idea adeguata della somma gravità del peccato. Delicta quis intelligit! il peccato ha una certa infinità nella malizia. Dio è un infinito bene, il peccato è un infinito male, Per quanto si dica di perfetto di eccellente non si arriva mai a dire ciò che è Dio perché è infinito, così per quanto sì dica di mostruoso e di orrendo non si dice mai abbastanza per indicare il peccato. Delicta quis intellìgit. Chi può mai dire la malizia che racchiude un solo peccato mortale?

Non v’è uomo in terra, non Angelo in Cielo, non creatura alcuna che possa penetrare a fondo il gran male che è il peccato. Esso, puro male, non è misto ad alcun bene. Le vipere, i rospi, per velenosi che siano, sono creature di Dio che esaltano la sua potenza, non così i peccatori. Perché, direte voi? Perché ciò? In che mai consiste questo gran male, questo veleno del peccato? Ecco, perché il peccato è un’ingiuria: è un disprezzo di Dio. L’uomo peccando disprezza Dio come Padrone coi non eseguire i suoi comandi; disprezza Dio come suo Re non praticando le sue leggi; disprezza Dio come suo Creatore non operando secondo il fine per cui fu creato. Disprezza Dio come suo Padre mostrandosi ingrato al suo amore. Disprezza Dio come suo Redentore rendendo inutile per sé il suo sangue preziosissimo.

Questo disprezzo poi cresce smisuratamente col paragone, poiché il peccatore disprezza Dio per amare una vilissima creatura. Se, per impossibile, vi fosse un altro Dio e chi peccando disprezzasse uno per servire l’altro, potremmo forse sopportarlo (?) Ma voltar e spalle a Dio sì buono, sì amabile, mentre tutto il bello e il prezioso del mondo è un nulla, disprezzarlo per amare un capriccio, una carogna! Oh disprezzo, O torto insoffribile! Inorridite: grida il profeta Geremia - inorridite come non mai. Perché il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l’acqua.

Questo disprezzo cresce a dismisura dal considerare chi Io commette e chi io riceve e fa vedere come la malizia del peccato sia infinita.... Perché commettere il peccato vuoi dire commettere un male dì tanta enorme malizia, quanto è grande Dio in sé medesimo. E siccome è impossibile dimostrar quanto sia grande Iddio, così non possiamo comprendere quanto il peccato sia un male grande. Dio solo, che conosce perfettamente Se stesso, sa e può saperlo e ce io fece conoscere nei tremendi castighi con cui l’ha sempre punito.

Tre sorte di peccatori vi sono stati nel mondo. Gli Angeli che peccarono in cielo, Adamo che peccò nel Paradiso Terrestre e Gesù Cristo, Figlio di Dio il quale sebbene santo e affatto incapace d’ogni minimo neo di peccato, spinto dalla sua immensa carità verso l’uomo, si addossò i suoi peccati e fu anch’egli punito dalla Giustizia Divina in una maniera terribile e spaventosa, Iddio dunque immediatamente ha punito severissimamente in Cielo il primo di tutti gli Angeli Lucifero, nel Paradiso Terrestre il primo di tutti gli uomini Adamo, e sul Calvario il primo di tutti i fedeli il Redentore, per colpe non sue.

Piaccia a Dio che ad un sì formidabile pensiero concepiamo anche noi un giusto e necessario timore. Con questo pensiero anche il Salvatore frenò la vanità e la superbia negli Apostoli. Questi un giorno gli si presentarono dicendo: "ai nostri cenni ubbidisce l’inferno, e si mettono in fuga i demoni." Ma Gesù perché non entrassero in vanagloria ricordò loro le rovine di Lucifero insuperbito. Videbam satanam sicut fulgor de coelo cadentem. Or se di questo pensiero si è valso il Signore per il bene dei suoi Apostoli, valiamocene anche noi per il bene delle nostre anime e meditiamo i tre punti della divina giustizia: il Cielo, il Paradiso terrestre, il Calvario. In cielo Iddio fulminò Lucifero coi suoi seguaci per un sol peccato di pensiero. Nel Paradiso terrestre, condannò Adamo ed Eva per un solo peccato di disubbidienza. Sul Calvario fece morir sulla croce il Redentore per i peccati del mondo …

Le prime e le più belle opere uscite dalle mani della Divina Onnipotenza, furono senza dubbio gli Angeli del Cielo, Spiriti sublimi, il minimo dei quali eccede in perfezione il più grande di tutti gli uomini. Tra questi Angeli il primo era Lucifero che al dir del profeta era pieno di sapienza, perfetto nella bellezza, vestito di gioie le più preziose. Or questo Lucifero, siccome fu il primo ad essere arricchito dei maggiori doni di Dio, così fu il primo nelle maggiori ingratitudini e nelle più empie scelleratezze… Lucifero abusando della libertà e dell’arbitrio donatigli da Dio ebbe il folle ardimento di ribellarsi al suo Sovrano, di peccar gravemente contro il suo grande benefattore. E che peccato commise lui e i suoi angeli? Il peccato fu sci di pensiero e sebbene variano i dottori nello spiegare il modo, è verità che peccarono gravemente di superbia. Egli li amava com’erano usciti dal suo amore, ma questi Spiriti non erano più i figli che volessero amarlo sempre e che Egli voleva sempre seco Beati e si sono ribellati, diventarono nemici commettendo il male davanti alla sua essenziale bontà. Ma la bontà di Dio deve difendersi contro il male che l’attacca. Così la Bontà di Dio che sì difende piglia la forma d’un altro tremendo attributo e diventa giustizia; bontà e giustizia di Dio si difendono dal male col castigare il peccato.

Qui appunto vi prego o carissimi di fissarvi in cuore queste due verità che avremo da ripetere all’uopo nel corso di questa meditazione. La prima che Dio è infinitamente giusto e perché è giusto non castiga mai il peccato più di quello che si merita. La seconda, che Dio è infinitamente buono e per la sua bontà castiga il peccato sempre meno di quanto si merita.

Quale fu dunque il castigo? Il castigo fu il più tremendo colpo, fra quelli a noi noti, che la divina giustizia abbia giammai scaricato sopra le creature, né vi si può pensare senza tremare e inorridire per lo spavento.

Li sbalzò in un istante dal cielo, tutti in un fascio li precipitò nel profondo abisso, creò un fuoco orrendo che li tormenterà e li incatenerà nell’inferno per tutta l’eternità.

Ma in questo castigo, conviene esaminare alcune circostanze le quali ci faranno meglio capire la grandezza di Dio e in conseguenza l’atrocità della colpa che l’ha meritato.

La prima circostanza è la prontezza. Li punisce subito, senza frapporre il minimo indugio, senza dare alcun tempo di ravvedersi e di far penitenza del loro peccato…

Un’altra circostanza da ponderarsi in questo castigo è la moltitudine e la qualità. E opinione dei santi Padri che gli Angeli fossero per numero cento volte più di tutti gli uomini che sono vissuti, vivono e vivranno su questa terra. Ebbene la terza parte di questi Angeli peccò e fu cacciata all’inferno. Ma, o Signore, non vedete che voi quasi spopolate il Paradiso? - Non importa. - O Signore non vedete che essi sono un’immensa moltitudine di creature nobilissimo, fornite di tanti doni di natura e di grazia, superiori ai più grandi re, ai più grandi dotti e agli uomini più sublimi e rari della terra? - Non importa, - risponde Iddio - tutti hanno peccato, portino tutti la stessa pena.

Aggiungiamo anche che il loro peccato fu di semplice pensiero, fu uno solo, fu il primo, non avevano avuto alcun esempio di castigo, né si immaginavano sicuramente che si dovesse punire con una pena così orrenda e istantanea. Inoltre Dio sapeva benissimo che fulminandoli così si formava un gran popolo di nemici, nemici implacabili, nemici che Io avrebbero odiato, bestemmiato in eterno, nemici che avrebbero tirato alloro partito l’uomo, che avrebbero riempito il mondo di scelleratezza, di empietà, di idolatria, e attirato alla eterna dannazione innumerevoli anime. Tutte queste ragioni e forse molte altre ancora, Dio le avrà conosciute e le avrà pesate col peccato, ma questi traboccò al di sotto.

E chi allo scroscio orribile, tremendo, inaudito di questo colpo, che atterrò in un istante tanti milioni di sì nobili creature dato da un Dio sì buono e pietoso, chi, dico, non inorridisce e non si spaventa? Se Iddio ha punito con tanto rigore gli spiriti più sublimi del Paradiso, perdonerà a te o peccatore che sei un pugno di fango? A te che sei tanto più reo di Lucifero? Quegli peccò una volta e tu mille e mille; quegli peccò sol di pensiero e tu anche di parole e di opere! Col castigare gli Angeli restò mezzo vuoto il Cielo; se tu ti danni poco o nulla perde il Paradiso, e Dio userà con te vilissimo verme della terra quel riguardo che non ebbe per i primi principi del Cielo? …

Che farà di noi che siamo vasi di sozza creta, pieni delle sozzure di mille colpe? che farà di noi? Oh pensiero tremendo e salutare! Ben intendiamo il terrore dei Santi quando leggiamo che certe anime di grande santità sovente esclamavano di non saper come ad ogni momento non li colpisse ancora la giustizia di Dio! Come mai la terra li potesse tuttora sostenere, come mai non si spalancasse l’inferno per ingoiarli! E noi consideriamo queste espressioni come esagerazioni esaltate della fervente loro pietà! Pare a noi che dicessero con se stessi, come sante menzogne e che non si sentissero poi in coscienza di meritarsi tanto castigo...

Ah miei fratelli, i santi si addentravano in questa meditazione che spaventa l’anima e spesso pensavano che un solo peccato degli Angeli bastò perché da quello splendore di gloria, da quel mar di felicità del Paradiso precipitassero a diventar demoni, mostri orrendi in disperazione senza fine. Pensassimo ancor noi spesso a questa verità, che se Dio avesse fatto con noi a rigor di giustizia così fin dalla prima colpa commessa, da tanti anni noi dovremmo essere dannati per sempre in inferno. Se non siamo stati divorati, se non siamo ora nel fuoco dell’inferno è per grande misericordia di Dio!

Quindi noi dobbiamo smontare tante pretensioni, trangugiando nel silenzio dell’umiltà disprezzi, sofferenze, dispiaceri d’ogni maniera, ricordando che siamo poveri sciagurati meritevoli del fuoco eterno. E poi se la nostra carne, questa nemica dell’anima che ci fece offendere Dio, intollerante di patimenti si lagnasse troppo di soffrire, posiamola col pensiero nell’inferno, e guarda - diciamole, - lì dentro in quell’orrendo fuoco dovrebbe essere la tua abitazione, coi demoni in quegli spasimi tremendi per sempre... E ti lamenti di questi pochi mali e di così brevi momenti? Ma, dirà forse taluno in cuor suo: Iddio ha punito gli Angeli in Cielo, ma non farà così cogli uomini: li ama e in essi trova le sue delizie. Il suo genio amoroso per noi, non gli permetterà di fare altrettanto con l’uomo!

Vediamo dunque ora come Iddio si sia comportato nel castigare il primo peccato di Adamo.

Iddio creò Adamo padre di tutti gli uomini e Io pose nel Paradiso terrestre. Lo elevò sovrano di tutte le creature della terra, lo mise sotto un padiglione d’immensa luce di Cielo, ai suoi piedi un velluto d’erbe smaltate di fiori, davanti a lui le piante chinavano i rami ad offrirgli ogni maniera di frutti e gli animali intorno ad aspettare i suoi cenni. Tutti i beni che egli gustava lo dovevano invogliare dell’immenso bene ed il cuore irrequieto Io slanciava a trovarlo in seno al Creatore. Affinché questa creatura, questo figliuolo sazio dell’amore di Dio, non trasmodasse in perdizione ma si contenesse sottomesso al suo dominio e si lasciasse guidare da lui, che lo avrebbe fatto beato, Dio gli comandò che non toccasse il frutto dell’albero della scienza del bene del male, perché si sarebbe attirato addosso con tutti i mali la morte.

Adamo negò obbedienza mangiando il frutto, ecco il primo peccato. Questa è la verità cattolica.

Ora cerchiamone qualche spiegazione. Dio con tale precetto, mentre manteneva l’uomo sotto il suo dominio per tenerlo nell’ordine gli pose un limite alla pretesa di voler saper tutto e tutto fare da sé. Pose un limite all’orgoglio dell’uomo di voler comandare tutti; pose un limite alla sensualità con cui vorrebbe accontentare la carne. Pose un limite alla pretensione, cioè a quel voler tutto sapere e tutto fare da sé. Ciò che per l’uomo era bene sapersi Dio gliel’aveva rivelato, cioè conoscere il creatore, indirizzare tutta la vita al suo servizio, amarlo e cercare di essere in Lui felice per sempre: era la somma sapienza.

Ma il demonio invidioso gli soffiò nell’animo l’orgoglioso pensiero che neppure Dio doveva tenerlo sotto il suo dominio. E! via, mangiasse il frutto proibito, che avrebbe aperto gli occhi e permesso di poter fare tutto a sua volontà. Allora l’uomo guardò Dio come un nemico che Io volesse nell’ignoranza e incatenato alla sua servitù. Pretese di fare egli da sé, non fu contento di conoscere e fare il bene, volle andare più in là. Ma più in là oltre il confine del bene, vi era il male: ed il male conosciuto gli offuscò la mente, gli avvelenò il cuore cosicché andò egli con foga dì brama brancicando a cercare nel male le sue soddisfazioni, e nel male trovò la morte.

Ne volete le prove? Le avrete purtroppo funeste sotto gli occhi, nelle vostre case, nei vostri figli, care speranze delle famiglie, che darebbero i più buoni frutti nel Paradiso della santa innocenza! Ma se un triste serpente di maligno compagno gli si avvinghia alla vita, se lo avvelena col fiato di una maliziosa parola, se lo gonfia di presunzione egli disdegna ogni ritegno assaggia il male... prova la morte dell’anima.... Egli si è perso e solo la bontà di Dio lo può salvare ancora.

Guardate se non è questo il fatto della società presente. Dio le aveva dato una madre per educarla, la Chiesa. Essa con le sue dottrine, con le sue verità e coi Sacramenti educava per bene la famiglia cristiana, niente che gli potesse essere utile lasciò d’insegnare, elevò la grande famiglia cattolica ad un grado di civiltà, che tutte le nazioni non cristiane non raggiungeranno mai. Oh! a quale altezza sarebbe condotta l’Europa se dalla Chiesa si fosse sempre lasciata guidare! Ma lo spirito di presunzione l’invasò in gran parte.

Allora i figli vittoriosi guardarono come tiranna la madre che li aveva educati, vollero fare senza di Lei ... vollero solo accettare ciò che alla loro ragione piacesse, pretesero di aprire gli occhi con la libertà della stampa, vollero leggere tutto, pretesero tutto sapere, nei libri proibiti della Chiesa mangiarono il frutto vietato. Ebbene? La Società restò offuscata dal dubbio, ormai non conosce più sodi principi, si agita irrequieta, cambia e mal soffre i governi cambiati, e nella rivoluzione universale minaccia di rovinare nel caos: solo il Salvatore Gesù colla sua Chiesa la può ancora salvare.

Abbiamo detto per secondo che Dio col suo comandamento pose un limite all’orgoglio dell’uomo che mirava a sempre innalzarsi, dominare e comandare tutti. Ma il padre del male gli gonfiò d’orgoglio il petto e gli disse: - Chi è questo Dio? Mangia quel frutto vietato, e non morirai ma ti farai eguale a Lui stesso - Adamo rizzò la testa gli negò obbedienza. Ribellatosi contro di Lui, sconvolse l’ordine e l’uomo si trovò ribelle fin dentro se stesso ….

Abbiamo detto per terzo che il Signore col precetto di non mangiare di quel frutto pose un limite alla sensualità che bramerebbe sfogarsi in tutti i piaceri. L’uomo nella parte dell’anima che presumerebbe tutto sapere e tutto osare, che agognerebbe poggiare in alto e comandare tutti, manifesta un’impronta di vera grandezza. Dio gli diede una prova grande: voleva da lui la grandezza d’umiltà, che fosse potente a far giustizia di se medesimo assoggettandosi a Dio ….

E voi o uomini che trionfate in spavalderie, con quel vostro gran fare menate vanto di grandi, non ridete del pomo che fece prevaricare Adamo; perché un boccone che vi faccia gola, anzi una schifezza dinanzi vi farebbe perder la testa, e vi getterebbe forse nelle sciagure più deplorevoli … l’uomo per indegni piaceri si avvolge in putridume così schifoso che ammorba fino il pensiero di chi si serba in dignità. Ed ecco o miei cari come si ripete la maledetta viltà di Adamo, nelle nostre case, nei tuguri, come nei più eleganti appartamenti! E’ un fatto, peccò Adamo per un boccone che gli fece gola, come peccano gli uomini per un indegno piacere. Ecco l’uomo davanti al Creatore a cui fa orribile oltraggio col suo peccato e la giustizia di Dio lo dovrebbe fulminare di castigo! E quale castigo? Pigliò Iddio la bilancia della giustizia, mise da una parte il peccato di Adamo, mise ciascun nostro peccato per controbilanciare la colpa col meritato castigo, gettò sull’altra parte tutti i mali del mondo. Pesò...pesava di più il peccato.

Deh pensate, è verità di fede: non vi sarebbero mali nel mondo se mai non vi fosse stato il peccato. No, non vi sarebbero dispiaceri, non dolori, non lacrime di patimenti, non disperazioni, se mai non vi fosse stato il peccato. Dunque per il peccato tutti i mali. Tutti i mali? Che terribile parola che spalanca innanzi alla mente il mare immenso di tutte le sciagure umane! Fermate il pensiero sulla serie delle malattie sole del corpo. Se vi si schierassero sotto gli occhi qui tutti i poveri infermi che languiscono solamente in quest’oggi in tutti gli ospedali del mondo. ... Quante luride piaghe, quante forme di convulsioni spaventose! Quante membra consulte dalla tisi! Quanti indescrivibili malori tutti ributtanti, che maciullano questa povera carne umana! Rifuggite atterrito il pensiero.. immaginatevi poi tutti gli ammalati di tutto il mondo per tutti i secoli. Che mare di dolori, molto più grande del mare che abbraccia la terra! A questi mali senza misura solo di corpi aggiungete tutti i mali dell’anime, i quali travagliano ogni misura immaginabile. Or Dio gettò questo smisurato ammasso di mali sulla terribile bilancia, gettò di riscontro il peccato, pesò….pesava di più il peccato.

Allora Dio gettò sulla bilancia la morte, poiché non vi sarebbe stata la morte nel mondo, se il peccato non l’avesse introdotta. Ma or via ditemi: Vi siete mai voi o fratelli fermati a considerare il terribile male che è la morte, e quanti spaventosi dolori cagiona agli uomini, la morte? Pensate un istante: proprio in quest’oggi, chissà a quanti infelici, quanti dolori fa provare la morte2 Oh la morte! La più orrida cagione dei mali per questa famiglia umana, il male peggiore in questo mondo. Ma udite, la tremenda voce che tuona: La morte è la paga del peccato... Questo tuono lascia voi per orrore nel silenzio e me nel fremito del terrore! Eppure Dio gettò con tutti i mali la morte sulla terribile bilancia; pesò... il peccato pesava di più.

Allora Iddio nella tremenda giustizia gettò sulla bilancia finalmente l’inferno. Poiché non vi sarebbe l’inferno per gli uomini se non avessero peccato. L’inferno! E chi può ponderar l’inferno? Chi può durarla in fissarsi in quel mare di disperati dolori?... Guardate nell’inferno quei reprobi, che si arrovellano con furor di demoni in quei vortici di fiamme, che si sprofondano in quel mare di fuoco, cercano la morte e trovano sempre la disperazione in rabbia eterna, ed ahi sotto i colpi del pendolo dell’eternità che batte l’immutabile "sempre e maiv. Sempre nel fuoco, fine non mai, sempre mai. Ora Dio gettò tutti i mali del mondo, gettò le morti tutte, gettò l’inferno stesso sulla terribile bilancia, contro il peccato, pesò.., pesava ancor di più il peccato!

Fra tutti i castighi però che Dio diede ai peccatori, o in Cielo o in terra o nell’inferno, non ve n’è certo uno più spaventoso che debba persuaderci più del gran male che è il peccato quanto il castigo dato al Redentore là sul Calvario. Egli era il Redentore, la stessa innocenza impeccabile per natura. Egli era l’Unigenito dell’Eterno Padre ed a Lui consustanziale. Egli era una persona di dignità infinita, ogni lieve oltraggio della sua SS.ma Umanità, si doveva stimare come male maggiore di ogni male di tutte le creature. Ora Egli si addossò il peccato dell’uomo. Egli là nell’orto prevedendo i suoi futuri martiri sudava vivo sangue e preso da profonda malinconia si rivolse a suo Padre per ben tre volte supplicandolo perché gli usasse pietà: Pater si possibile est transean a me calix iste. L’Eterno Padre non si mosse a compassione, gl’inviò un Angelo con un calice di nero assenzio... Uditelo, o miei cari là sul Calvario, inchiodato in croce, ormai vicino a spirare,

l’ultimo fiato che quasi più non potendo sopportare l’abbandono del Padre esce in queste lamentevoli parole: "Deus, Deus meus ut quid dereliquisti me".

Il peccato o mio Gesù, il peccato che vi siete addossato ecco quel che porta la Divina Giustizia ad abbandonarvi. Oh maledetto peccato, peccato maledetto!

Ma, meditiamo un po’, se la Divina Giustizia ha punito rigidamente un Dio fatto uomo per i peccati non suoi, come tratterà noi vermi vilissimi della terra, per tanti peccati? Se il fuoco dei divini fulmini ha svegliato sì grandi fiamme nel legno verde dell’Umanità SS.ma del Salvatore, quale incendio non metterà nei peccatori, che come legna secca è disposta ad ardere nell’inferno?…ebbe purtroppo ragione il Redentore, mentre andava al Calvario di dire alle donne che piangevano i suoi strazi: "Ah non spargete per me codeste lacrime, ma serbatele per voi che ne avrete maggior bisogno..."

AI: "Sermones", ASO Botticino