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Verolanuova Tour


   

Il campanaro Cesare Lorandi (dal 1930 al 1950)

Ormai è una figura scomparsa da quando le campane vengono mosse elettricamente. Eppure il campanaro a Verolanuova ha ricoperto per anni un ruolo importante. Era allora Cesare Lorandi, il campanaro che gestiva il nostro concerto di campane (1930-1950), sorvegliato dal maestro Bambini e giudicato fra i migliori d’Italia. La prima volta che incontrai Lorandi ero un ragazzetto di sei o sette anni. Era la vigilia di Natale e lui si era presentato alla mia porta per richiedere un ceppo di legna, da ardere lassù sulla cella del campanile, aperta a tutti i venti, proprio durante la notte, mentre pestava sui tasti di legno di alcune campane per la nenia di Natale.

Mi aveva fatto una grande impressione, quest’uomo alto ed ossuto, dal volto tagliato con l’accetta, ma dagli occhi pieni di umanità, coperto da un enorme mantello grigio verde, probabilmente ereditato dalla prima guerra mondiale. Noi andavamo ogni tanto ad occhieggiare alla porta del campanile, dove Lorandi, al centro della stretta stanzetta, ordinava ai suoi aiutanti, con toni perentori, il tiraggio alternato delle lunghe corde agganciate, in alto, alle campane. Diceva a voce alta distribuendo i compiti: “mé, té, Maria, Chico...” e poi a quest’ultimo, non del tutto arrivato; “Chico mòlet.”, perché il Chico era rimasto appeso alla corda e trascinato verso l’alto dal peso della campana.

Lorandi era un uomo eclettico. Ogni tanto fermava noi studenti e guardandoci con quei suoi grandi occhi, recitava a memoria brani della Divina Commedia di Dante.

Un bel giorno si era messo in mente di ornare in maniera degna l’ingresso al campanile e così, a sue spese, se ne era andato a Milano ed aveva copiato i leoni del castello Sforzesco. Tornato a Verolanuova aveva fatto un calco in gesso ed una struttura metallica, nella quale aveva riversato cemento liquido. Ed ecco i due leoni, ancora fieri, anche se un po’ sbocconcellati, a guardia, da almeno quarant’anni, dell’accesso al campanile, ad imperituro ricordo di chi, pur nella modestia di un incarico poco remunerato, aveva saputo dare spazio ai suoi talenti, sia nel campo della musica, sia come studioso di lettere, sia infine come scultore e pittore.

Era lui, il Lorandi, che suonava "il tempo" quando grosse nuvolaglie, gravide di tempesta, si presentavano nel cielo e le nostre nonne correvano a portare in cortile la padellina nella quale bruciava l’olivo benedetto; era lui che, durante la guerra, suonava a martello per avvertirci della presenza, all’orizzonte, di aerei nemici; era lui infine che, nelle notti sante, accompagnava il nostro riposo con il lieve tocco delle campane. Le sue campane devono aver suonato cariche di malinconia e di nostalgia, per accompagnare con rimpianto l’ultimo viaggio del loro campanaro.

( V.B. - Storie Verolesi - Angelo di Verola - febbraio 2004 )