Parrocchia angelodiverolaSan Lorenzo Martire in Verolanuova

 

Scuola Formazione Lettori

Lampada

a cura di Don Pierino Boselli arciprete di Verolavecchia
e responsabile dell'Ufficio Diocesano per la Liturgia.


 

LEZIONE 5

INTRODUZIONE ALLA METODOLOGIA DELLA LETTURA

1. LA PROCLAMAZIONE DELLA PAROLA DI DIO

Il Signore Gesù ha sempre voluto che giunga a tutti gli uomini la sua parola di salvezza, di perdono, di consolazione e di speranza. In molti casi Dio si serve degli uomini perché la sua parola venga diffusa, ricevuta e di nuovo consegnata ad altri. Da qui viene per ogni cristiano il compito di trasmettere la Parola di Dio divenendone strumento e servitore.

Il luogo più favorevole dove ricevere la parola di Dio è la comunità radunata in assemblea liturgica per l’ascolto, la risposta e la preghiera. Per questo servizio ci sono dei servitori chiamati a dare voce, respiro, corpo e volto alla parola proclamata nella liturgia in forma comunitaria, con lettura chiara e nitida, competente ed autorevole nel tono della voce e nello stile, nel comportamento e nella tecnica.

A - Una Parola da proclamare

L’azione di far udire la parola di Dio è detta "proclamazione della parola". Non è solo questione di leggere bene e distintamente, si tratta anche di dare testimonianza dei fatti e delle parole annunciate, di impegnarsi per quanto viene affermato, di favorire l’ascolto da parte di coloro che sono chiamati ad accogliere quanto hanno udito.

Il concetto di proclamazione non può essere quindi confuso né identificato con il concetto di lettura. Proclamare non equivale solo a ben leggere, ma a rendere pubblico, acclamare, confessare e rivelare. Per questo colui che proclama deve impegnarsi per farsi udire da tutti, usando ogni accorgimento personale e tecnico.

Proclamando si acclama e si venera la Parola di Dio, se ne dichiara pubblicamente il valore e l’importanza, si confessa la propria fede in colui da cui si è inviati; di conseguenza la proclamazione agisce sugli uditori perché entrino nell’atteggiamento di fede, con la coscienza di trovarsi di fronte all’autore del messaggio.

Su questo argomenti i vescovi italiani affermano:

"Poiché il dialogo liturgico di Dio con il suo popolo non sfugge alle condizioni dell’umana comunicazione, sono utili tutti gli accorgimenti che favoriscono l’ascolto e la comprensione dei testi letti (per es. una sufficiente amplificazione della voce, una lettura chiara e intelligente, ecc.)" (RLI 11).

- B - Come proclamare la Parola

La proclamazione liturgica è fatta da uomini per altri uomini e reca quindi con sé anche i difetti degli uomini. Quelli più comuni sono ben noti ed evidenti a tutti i partecipanti. Da una parte il tono dimesso, la monotonia della voce, la pronuncia indistinta, il fraseggio sconnesso una lettura priva di senso e di calore. Dall’altra parte l’enfasi, la retorica, il manierismo per non parlare poi della fonìa errata, delle cantilene, della mancanza di pause e di stacchi. Difetti che provengono dalla mancanza delle regole fondamentali di una buona dizione che, magari per una inconsapevole leggerezza, la grande maggioranza di coloro che sono chiamati a leggere in chiesa non pensa di dover imparare.

Con questo non si pretende di avere a disposizione dei professionisti. Infatti non sempre un buon dicitore può assolvere la funzione di lettore nella celebrazione liturgica, perché non basta che la lettura risulti chiara e intelligibile. Nella proclamazione liturgica si esige un certo colore e calore, una certa solennità, un tono più vibrato, più partecipato. La proclamazione liturgica esclude la lettura teatrale. Si tratta invece di pronunciare ogni parola della Bibbia con cuore spalancato, carico di amore e di umiltà. L’amore impedirà letture frettolose, sfilacciate e superficiali; l’umiltà terrà lontano dalla vuota enfasi e dalla fredda declamazione.

2. DARE VOCE ALLA PAROLA

Il problema della dizione è serio e si riversa sull’assemblea convocata per ascoltare la Parola di Dio.
E’ per questo che i servitori della parola devono essere formati a svolgere bene il loro compito di proclamazione.

Nella liturgia si impone una dizione tipica ed espressiva perché il ministero della parola è connesso internamente con la liturgia. E’ pronuncia di una parola insigne, a volte dolce, a volte sferzante, a volte poetica, ma sempre divina. Pertanto deve avere vibrazioni non eccessive, pause esatte, suoni sempre più perfetti. Non tollera oscillazioni, precipitazioni, ma deve essere dotata di una musicalità particolare, equilibrata, serena.

Questa particolare dizione sa rinunciare ai personalismi canori, alle cadenze dialettali troppo evidenti, senza per questo portare ad una freddezza che rasenti l’indifferenza.

La dizione liturgica possiede una sua peculiarità che consiste nel calore della parola nitida e prova avversione per le cantilene, gli interrogativi strascicati, scolastici. Ricerca la giusta misura dove il ritmo non sia eccessivamente lento né eccessivamente precipitoso o, ancor peggio, frettoloso. Il calore dovrà essere dettato da profonda pietà e gioia interiore. Concretamente si tratta di mettere in pratica un’autentica locuzione presa scarsamente in considerazione: quella della lettura espressiva, dove non si indulge né a teatralismi, né a sciatterie.

Accanto alla dizione espressiva e tipica va posta la lettura diversificata, cioè quel lieve e diverso modo di leggere, a seconda che si tratti di orazioni, invocazioni, letture, Vangelo, salmo sequenze.

Le preghiere vanno lette con pietà e dolcezza; le letture con estrema logicità; il salmo con un tono leggermente lirico; il Vangelo con tonalità di proclamazione alta e scandita; le sequenze come composizione da sostenere con il tono e l’animo perché non diventino filastrocche; le invocazioni con espressioni né troppo plateali né troppo scomposte.

Parlando di dizione è opportuno conoscere il significato di questo termine, per evitare di averne un concetto vago e inesatto.

Dizione è:

  • ortoepia, cioè retta pronuncia;
  • ortofonia, cioè suono esatto, basato sulla…
  • fonologia che è la scienza dei suoni, e anche sulla…
  • fonetica, cioè quella parte di grammatica relativa ai suoni.

Purtroppo nelle nostre scuole lo studio della pronuncia non sempre precede quello dell’ortografia e sovente è addirittura saltato.

3. DARE CORPO ALLA PAROLA

La proclamazione della parola di Dio esige formazione biblica e liturgica, atteggiamenti spirituali e disponibilità al servizio, ma richiede anche un corretto comportamento fisico per una migliore efficacia del ministero esercitato.

Il comportamento del ministro della parola inizia già dal momento in cui si reca all’ambone o al luogo dove svolge il suo ufficio.

Non è opportuno che il ministro lasci il suo posto prima che sia terminata l’azione liturgica precedente. Mentre il celebrante conclude la preghiera comune, non è bello vedere i lettori che si recano verso l’ambone, quasi fossero estranei all’Amen finale della colletta.

Le monizioni da premettere alla lettura, al salmo o alla preghiera e al canto, vanno fatte dal commentatore, ma nel caso che mancasse e il compito toccasse al lettore, questi avrà l’accorgimento di cambiare tono di voce e di fare una pausa vera perché non sembri che la monizione sia già parte della lettura o la lettura sia ancora la monizione.

  • Alcune indicazioni pratiche

Non va detto "prima lettura", oppure "salmo responsoriale": queste sono indicazioni rituali.

Le norme prescrivono che al termine delle prime due letture si dica "Parola di Dio", facendo un breve stacco, cambiando leggermente tono e mettendo in evidenza le parole di "Dio" per suscitare la risposta dell’Assemblea. E’ invalso da qualche parte l’uso di dire, invece della formula prescritta, la variante "E’ Parola di Dio", attribuendo alla lettura un’ampiezza maggiore di quella che svolge. Infatti la parola biblica si fa parola che Dio dice se e accolta in ascolto credente, interpretativo, attualizzante. E’ quindi preferibile impiegare la forma rituale dell’esclamazione che propone ciò che può essere, senza affermare ciò che rischia di non avverarsi per negligenza dei presenti. Inoltre si corre il rischio di favorire una errata nozione dell’ispirazione, poiché spinge l’attenzione alla parola materiale anziché a Dio che parla.

Il servizio va svolto in un clima di devoto rispetto, contrassegnato dal contegno semplice e grave, dalla dignità e disinvoltura nell’atteggiamento, nello sguardo e nel comportamento. Disinvoltura non significa leggerezza, faciloneria, "svolazzamenti" fuori posto. Il volto stesso deve riflettere l’interiorità e far emergere che il lettore si immedesima in quello che sta leggendo o pregando o cantando. Poiché legge una parola di salvezza, non potrà che avere il volto gioioso degli uomini liberati e fatti salvi, senza angosce né tristezze.

4. PROSPETTIVE

Il Concilio Vaticano II ha valorizzato "il carattere centrale della Parola di Dio nella vita della Chiesa", mettendo la Parola sullo stesso piano della Eucaristia: "la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto con il Corpo stesso di Cristo" (DV21). Questa riscoperta della Parola costituisce oggi per la Chiesa la più straordinaria possibilità che le sia data da secoli. Questa opportunità non le si è presentata in maniera casuale. Essa è il frutto del movimento biblico e del movimento liturgico, i due movimenti che hanno contrassegnato il cattolicesimo durante quest’ultimo secolo.

Il Vaticano II si è trovato alla confluenza di questi due movimenti, della cui vitalià beneficia ampiamente la celebrazione della Parola.

Il Vaticano II è stato come la primavera che, dopo secoli d’inverno, ha permesso alla linfa biblica e liturgica di prorompere in mille fioriture. Quale sarà il futuro di questa primavera, nessuno può dirlo. Tra la primavera e l’inizio dell’estate vi è sovente quello che i meteorologi chiamano il periodo dei "santi di ghiaccio", un periodo in cui le ultime gelate notturne possono ancora attaccare gli alberi in fiore e annientare la speranza dei frutti.

Abbiamo già conosciuto dopo il Vaticano II periodo di santi di ghiaccio (ghiaccio integralista, ghiaccio progressista). Ne conosceremo ancora altri.

Ci restano però le nostre speranze. La riforma perenne di cui parla il Concilio è in cammino, quali che siano gli indugi della primavera o il fiorire delle improvvise devozioni ai vari santi di ghiaccio.

- A - Parola e Comunità

Discutendo con i Corinzi, sovente difficili e a volte litigiosi, Paolo chiede loro con Humor se deve aver bisogno di una lettera di raccomandazione per annunciare il Vangelo di Gesù. E lancia questa superba affermazione:

"La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. E’ noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito di dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori".
(2Cor 3, 2 - 3)

C’è nel pensiero di Paolo una identificazione tra il messaggio che egli annuncia e la comunità che lo riceve. Portatrice della Parola, la comunità diviene a sua volta Parola di Dio per il mondo. Vivendo secondo il Vangelo, essa diviene Vangelo. Potremmo riassumere così questo mistero della Parola e della Comunità: il Vangelo è il libro dei cristiani e la vita dei cristiani è il libro dei pagani o, se volete, la migliore celebrazione della Parola di Dio è la vita della comunità cristiana.

Sarebbe ingenuo pensare che basti celebrare la Parola per trasformare la Chiesa in Parola di Dio e cambiare ogni comunità in Vangelo vivente. Ma sarebbe ancor più ingenuo immaginare che si possa realizzare tale cambiamento senza una celebrazione costante e fedele della Parola. Più la Parola è conosciuta, amata, celebrata, e più la comunità ha la possibilità di conformarsi ad essa.

  • B - La celebrazione di una Chiesa biblica

Con molto ottimismo il Vaticano II ha affermato che la liturgia, "a coloro che sono fuori, mostra la Chiesa come vessillo innalzato sui popoli".

Secondo me sono tre i segni che manifestano questa immagine di Chiesa:

1. La gioia nella liturgia

Ogni liturgia è un appuntamento con la gioia di Dio: "Venite al Signore con canti di gioia", ci dice il salmista. E Gesù assicura gli apostoli: "Vi ho detto queste cose perché la vostra gioia sia piena". Anche in preda all’angoscia più profonda, il cristiano può sperimentare ciò che Paolo chiama "la consolazione delle Scritture". Ogni celebrazione liturgica è come una discesa dell’Eterno nel nostro tempo, come un richiamo della Parola nel nostro silenzio, come un’irruzione della infinita gioia di Dio nella nostra tristezza. Ogni celebrazione, dovrebbe essere secondo la poetica biblica, in armonia con le grida di gioia delle montagne, con le danze degli alberi delle foreste, con lo scroscio dei fiumi quando battono le mani. La gioia poi scaturisce nel cuore di ogni liturgia quando è celebrata nella verità. Dove regna Dio, ivi trionfa la gioia. Dov’egli è celebrato, fiorisce l’esultanza. La gioia è uno dei segni più manifesti della autenticità delle nostre celebrazioni liturgiche.

2. La bellezza della liturgia

Le rubriche vogliono che la celebrazione della Parola abbia luogo in una cornice di bellezza. Chiedono un Evangeliario degno della Parola di Dio; un ambone mensa della Parola, la cui bellezza sia in armonia con quella dell’Altare; una processione che va dall’altare all’ambone con ceri, incenso, canto dell’Alleluia per accompagnare questo corteggio di gloria.

Certo, i demoni dell’estetismo cercano continuamente di alienare la nostra libertà nelle pastoie del ritualismo. Ad esempio: pericolo della corale che si inebria dei propri ritmi e accordi (che ciò avvenga in polifonia classica, o in cacofonia ritmata moderna, non sposta minimamente il problema) anziché cantare un’alleluia insieme a tutta l’assemblea; pericolo dell’architettura che fa della retorica magniloquente anziché prevedere un ambone o un altare pienamente funzionali; pericolo del celebrante mascherato da principe d’operetta; pericolo di chierichetti camuffati da bambole sacre, anziché avere quella primaria bellezza che c’è nel rivestire un abito di preghiera. Giustamente il messale parla di quella "nobile semplicità che si accompagna tanto bene con l’arte autentica".

La bellezza è sorella della semplicità. Dopo il Vaticano II in tema di bellezza ci sono state delle carenze in certe celebrazioni liturgiche. E’ urgente colmarle. E’ stato affermato che "la bellezza salverà il mondo". Essa salverà anche la nostra liturgia. E’ un’urgente necessità.

3. La preghiera del corpo e dell’anima

Nessuna religione venera il corpo umano come la religione cristiana. Essa lo celebra come tempio dello Spirito Santo e gli promette la risurrezione nella gloria del cielo. Nessuna tradizione associa il corpo alla celebrazione liturgica più della tradizione ebraico-cristiana. Secondo la rivelazione biblica l’uomo - corpo e anima - è il capolavoro della creazione ed è nell’unità del suo corpo e della sua anima che deve lodare il suo Creatore. Ma le nostre celebrazioni sono state talora talmente intellettualizzate, disincarnate, che hanno praticamente bandito il corpo da questa adorazione.

Vi è poi un altro dato: le nostre società industrializzate sono contrassegnate dall’utilitarismo. L’uomo vale per quanto produce. L’homo festivus, colui che ascolta e canta per nulla, semplicemente perché il suo cuore si meraviglia davanti all’annuncio e all’esperienza dell’amore di Dio, è facilmente sospettato di fannullaggine, se non di squilibrio psichico. Di un santo si dirà che ha molto lavorato. Non si dirà che gioiva nell’ascoltare, che rideva di fronte ai doni del suo Dio, che danzava per il Signore. Si affermerà piuttosto che era talmente devoto da aver per sempre rinunciato al sorriso, alla gioia della gestualità, al coinvolgimento di tutto il suo corpo nell’esperienza della propria fede.

Le onde di questo utilitarismo hanno invaso anche le spiagge della liturgia: la fretta è nota dominante, la gioia è rara, il sorriso è scomparso. Le nostre messe domenicali, invece di esprimere la gioia di incontrare il Cristo risorto, mostrano assai spesso dei cristiani che stanno compiendo una cosa utile, assolvendo un precetto che sa più di lasciapassare per qualcosa di grande che di dono per una vera esperienza di vita. Spesse volte tutto viene eseguito secondo le normative dei riti. Una cosa sola manca: la gioia della fede, la meraviglia davanti alla bellezza di Dio.

5. CONCLUSIONE

La Chiesa cattolica rappresenta attualmente il 17,64% della popolazione mondiale. Miliardi di uomini ci circondano, a volte ci osservano o ci spiano. Che fare?

Certe comunità continuano tranquillamente il loro cammino di torpore liturgico e biblico, come se non ci fosse nessuna urgenza da affrontare.

Certe comunità diffondono speranza quasi proclamando: "non vogliamo morire" e fanno sforzi enormi per diventare veramente Chiesa secondo la Parola di Dio. Sanno bene che nessun canto e nessuna danza basterebbero a realizzare questo ideale, ma per loro è sufficiente vivere appieno secondo la Parola di Dio per mietere gioia e bellezza, e cantici e danze in sovrappiù.

Noi abbiamo il Dio più meraviglioso da manifestare al mondo, la rivelazione più sublime da annunciare, la liturgia più spirituale da celebrare.

Dovremmo essere la Chiesa di cui il profeta aveva detto: "Farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio" (Is. 65, 18).

Dovremmo essere la nuova Gerusalemme rivestita della stessa bellezza di Dio. "Il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore" (Is. 60, 19).

Mai la gioia deve venir meno nella Chiesa, poiché è Dio stesso che la conduce Egli ti rinnoverà col suo amore, tripudierà per te con grida di giubilo come nei giorni di festa" (Sof. 3,17).

Miliardi di fratelli e di sorelle ci chiedono: "Dov’è la gioia? Dov’è la bellezza di Dio sulla terra? Dove le danze e i tamburelli?".

Voglia il cielo che la nostra risposta possa essere "Venite e vedrete!".

Infine per quanti esercitano nella comunità un ministero inerente la Parola di Dio bisogna mai dimenticare che l’esperienza della parola continua ad essere canto d’amore degli eletti, innalzato dalla Chiesa e nella Chiesa, la Sposa in cammino per raggiungere il suo Sposo, a cui innalzare l’"Amen" della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo.

Con la proclamazione della Parola che noi accogliamo, celebriamo, serviamo, consegniamo, testimoniamo, facciamo sì che "la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini" (DV 26).

Di fronte alle possibili difficoltà nel compiere questo ministero diciamo pure al Signore con il profeta Geremia: " Signore, io non so parlare; sono giovane abbi pietà"; e Lui prontamente ci rimanda nell’impegno del ministero con la parola che si fa certezza: "Tu non temere e va dove ti manderò. Annuncia le mia vie!".

 

Lezione:  1 -  2 -  3 -  4 -  5 -  6

 

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