Parrocchia angelodiverolaSan Lorenzo Martire in Verolanuova

Arcangelo Tadini

Canonizzato il 26 Aprile 2009 da Benedetto XVI | proclamato Beato il 3 ottobre 1999 da Giovanni Paolo II

 


Ricerche di don Mario Trebeschi

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Tadini osservatore della società del suo tempo

 

Un quarto quadro ci porta avanti di qualche anno. Troviamo il Tadini a Botticino Sera, dapprima coadiutore, dal novembre 1885, poi economo spirituale, il 29 novembre 1886, alla morte del parroco don Giacomo Cortesi, e infine lui stesso parroco nel 1887.

L’immaginazione va al giovane pastore, appena quarantenne, aggirarsi tra le case del paese di 1500 abitanti, appoggiate sulla collina che sale verso S. Gallo; il paesaggio segnato dal chiarore di qualche cava di marmo e degradante verso la pianura, rigato dai filari dei vigneti.

Ciò che lo interessa è la sua gente e le condizioni in cui essa vive e lavora.

Egli è attratto da alcune situazioni, riproponibili anche visivamente nel nostro quadro. Egli osserva la scena dei lavoratori, stanchi e bisognosi di riposo, nell’alternarsi dei giorni della fatica e della festa.

In un discorso sull’osservanza della domenica egli affermava:

"Mirate quell’artigiano col ferro in mano e col sudore sulla fronte; lo strepito dei martelli e il risuonare dell’incudine lo assordano continuamente, ed ei colle braccia di qua e di là, la sera ritorna a casa misero, com’è stremato dalle forze! E dall’intera persona trasparisce alcunché di affranto, appena ha tempo di acchetar i bisogni della fame e dare alle membra un breve riposo, che l’alba del domani già si avanza a cacciarlo dal letticciolo. Mirate il contadino in mezzo ai campi, la sua faccia abbronzata e la pelle che mostra i calli, rilevano bene la vita dura che esso conduce...

Laddove ecco alfine spuntare il giorno della domenica e tutto pare che si rallegri; diresti che Dio discende ad abitare in mezzo agli uomini...

Viene il giorno festivo, quelle care solennità che rompono il monotono tenore di nostra vita, e l’operaio riposa, e l’officina tace, e l’armento medesimo si acconcia in pace; è festa, è festa, son tutti contenti".

Il pensiero corre ad altre attenzioni del Tadini, meno frequentate dai suoi biografi. Egli osserva la società e il suo sguardo si estende lontano, dove i popoli europei cercano nuovi imperi. Tra Ottocento e Novecento, nella nuova Europa assestata dopo le guerre di indipendenza, serpeggiavano nuove inquietudini: i governanti, non trovando più possibilità di espansione nel vecchio mondo, tentavano sbocchi all'esterno; nel vicino continente africano, che apriva all’economia enormi possibilità di sviluppo, con le sue materie prime a basso costo, ma anche nella più lontana Asia. Al loro interno gli stati soffrivano tensioni e rivoluzioni causate delle emergenti classi sociali proletarie, agitate da idee marxiste e socialiste, alla ricerca di spazi di potere.

Per limitarci alla sola Africa: dal 1880 al 1894 si assiste all’invasione europea del continente.

La conferenza internazionale di Berlino (1885) aveva diviso l’Africa in zone d’influenza. Il Belgio estendeva il suo dominio sul Congo (1885). L’Inghilterra sospinta dalle idee imperialistiche di Joseph Chamberlain (1836-1914), si era assicurata possedimenti in Egitto (1882), Kenia (1886), Nigeria (1886), Sudan (1898), Uganda (protettorato nel 1890), Rhodesia (1889); estendeva la sua influenza anche dall’altra parte del globo, sull’Australia e in altre zone. La Francia occupava l’Africa occidentale del Sahara (1884-1894) il Dahomey (1893), parte della Somalia (1881), il Madagascar (1890). La Germania arrivava nel Togo (1885), nel Camerun (1885), nel Tanganika, nell’Africa sud occidentale (1885). Anche l’Italia, aveva cercato, sotto il governo Crispi, di ritagliarsi un suo spazio in Eritrea (1885) e in parte della Somalia (1889), ma con meno fortuna.

La politica espansionistica richiedeva, da una parte, una imponente forza d'armi per la conquista dei paesi da colonizzare e come forza deterrente nei confronti delle nazioni concorrenti, dall’altra un notevole sforzo di intesa tra i governanti conquistatori, per non danneggiarsi a vicenda: sono di quest’epoca la triplice alleanza tra Italia, Austria Ungheria e Germania nel 1882, per la difesa in caso di attacco della Francia e la duplice intesa franco russa (nel 1892); l’Inghilterra faceva giri di valzer tra l’una e l’altra nazione.

Il Tadini è osservatore di questa realtà (se ne informava leggendo i giornali, specialmente "Il Cittadino di Brescia"), quanto di quella del suo paese, e ne parla apertamente alla sua gente, traendone spunto per considerazioni e riflessioni morali.

"...La va male... -diceva- I paesi in rivoluzione, le città scisse in partiti, fin dentro le stesse pareti il fratello odia il fratello...

L’orizzonte politico è nero, ogni giorno nuove invenzioni d’armi così micidiali, che distruggerebbero in pochi giorni l’intera umanità.

Le potenze terribilmente agguerrite stanno cupe, come quando si guardano in brama nell’istante di sbranarsi a vicenda...

La società è come un gigante infermo che si arrovella per terra, nel furore del male dilania se stesso.

Quei grandi uomini politici, che si danno aria di manipolare le nazioni nei loro congressi e là annunciano felicità ai popoli, li lusingano con mille promesse mai adempiute; succedono gli uni agli altri, sempre con illusioni di prosperità e di leghe commerciali tra paesi, e invece si va sempre di male in peggio".

Interessante è il fatto che da queste osservazioni a livello mondiale, il Tadini scende immediatamente, nello stesso discorso al proprio piccolo mondo, di cui fa esperienza quotidiana e aggiunge:

"Se avete un figlio, lo potreste vedere violento in una lite micidiale.

Ecco invece una madre che lascia crescere i suoi figli senza educazione e senza formazione, peggiore delle bestie.

I padroni difficilmente trovano dipendenti ligi al proprio dovere; e i dipendenti, a grave pena, trovano principali caritatevoli, giusti, precisi".

Alle osservazioni il Tadini fa seguire valutazioni e intenzioni operative:

"Oh! povera società umana; a quale miserabile stato sei ridotta. E non è opera di un giorno. Da tempo si lavora a questa corruzione.

Eppure questo è il secolo del progresso, della scienza e l’uomo ha tanti mezzi per essere illuminato. Eppure si vede il bene e si segue il male. Perché? Perché il cuore è guasto [...]

Io sono convinto che il più gran bene al mondo fu fatto dalla pietà e che la devozione opera tanti prodigi a vantaggio della umanità. Non vi è che Dio che salva la società. Desideriamo la salvezza della società: dedichiamo prima il nostro cuore a Gesù e vediamo di uniformarlo al suo".

Si tratta di osservazioni consuete nella visione cristiana; ma alla luce di quanto il Tadini operò, in cerca di rimedi efficaci, per quanto egli poté attuare, non sono per nulla scontate. Il Beato, anzi, considerò il triste spettacolo come un appello continuo alla personale responsabilità.

Se nel nostro quadro va rappresentato il paesaggio di Botticino, con la sua gente e il suo parroco, come si è osservato, in esso deve trovar spazio anche la traccia delle nazioni conquistatrici e delle popolazioni fatte schiave dall’Europa, poiché il Tadini aveva presenti tali eventi.

Dal discorso del Beato sopra riportato e dall’accostamento delle situazioni della sua gente a quelle delle nazioni, si può concludere che il parroco di Botticino era convinto che, migliorando il piccolo mondo della propria parrocchia di campagna, migliorava anche il mondo più vasto.

(continua)




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