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Tadini osservatore della società del suo tempo
Un quarto quadro ci porta avanti di qualche anno. Troviamo
il Tadini a Botticino Sera, dapprima coadiutore, dal novembre 1885, poi economo
spirituale, il 29 novembre 1886, alla morte del parroco don Giacomo Cortesi, e infine lui
stesso parroco nel 1887.
Limmaginazione va al giovane pastore, appena
quarantenne, aggirarsi tra le case del paese di 1500 abitanti, appoggiate sulla collina
che sale verso S. Gallo; il paesaggio segnato dal chiarore di qualche cava di marmo e
degradante verso la pianura, rigato dai filari dei vigneti.
Ciò che lo interessa è la sua gente e le condizioni in
cui essa vive e lavora.
Egli è attratto da alcune situazioni, riproponibili anche
visivamente nel nostro quadro. Egli osserva la scena dei lavoratori, stanchi e bisognosi
di riposo, nellalternarsi dei giorni della fatica e della festa.
In un discorso sullosservanza della domenica egli
affermava:
"Mirate quellartigiano col ferro in mano e col
sudore sulla fronte; lo strepito dei martelli e il risuonare dellincudine lo
assordano continuamente, ed ei colle braccia di qua e di là, la sera ritorna a casa
misero, comè stremato dalle forze! E dallintera persona trasparisce alcunché
di affranto, appena ha tempo di acchetar i bisogni della fame e dare alle membra un breve
riposo, che lalba del domani già si avanza a cacciarlo dal letticciolo. Mirate il
contadino in mezzo ai campi, la sua faccia abbronzata e la pelle che mostra i calli,
rilevano bene la vita dura che esso conduce...
Laddove ecco alfine spuntare il giorno della domenica e
tutto pare che si rallegri; diresti che Dio discende ad abitare in mezzo agli uomini...
Viene il giorno festivo, quelle care solennità che rompono
il monotono tenore di nostra vita, e loperaio riposa, e lofficina tace, e
larmento medesimo si acconcia in pace; è festa, è festa, son tutti contenti".
Il pensiero corre ad altre attenzioni del Tadini, meno
frequentate dai suoi biografi. Egli osserva la società e il suo sguardo si estende
lontano, dove i popoli europei cercano nuovi imperi. Tra Ottocento e Novecento, nella
nuova Europa assestata dopo le guerre di indipendenza, serpeggiavano nuove inquietudini: i
governanti, non trovando più possibilità di espansione nel vecchio mondo, tentavano
sbocchi all'esterno; nel vicino continente africano, che apriva alleconomia enormi
possibilità di sviluppo, con le sue materie prime a basso costo, ma anche nella più
lontana Asia. Al loro interno gli stati soffrivano tensioni e rivoluzioni causate delle
emergenti classi sociali proletarie, agitate da idee marxiste e socialiste, alla ricerca
di spazi di potere.
Per limitarci alla sola Africa: dal 1880 al 1894 si assiste
allinvasione europea del continente.
La conferenza internazionale di Berlino (1885) aveva diviso
lAfrica in zone dinfluenza. Il Belgio estendeva il suo dominio sul Congo
(1885). LInghilterra sospinta dalle idee imperialistiche di Joseph Chamberlain
(1836-1914), si era assicurata possedimenti in Egitto (1882), Kenia (1886), Nigeria
(1886), Sudan (1898), Uganda (protettorato nel 1890), Rhodesia (1889); estendeva la sua
influenza anche dallaltra parte del globo, sullAustralia e in altre zone. La
Francia occupava lAfrica occidentale del Sahara (1884-1894) il Dahomey (1893), parte
della Somalia (1881), il Madagascar (1890). La Germania arrivava nel Togo (1885), nel
Camerun (1885), nel Tanganika, nellAfrica sud occidentale (1885). Anche
lItalia, aveva cercato, sotto il governo Crispi, di ritagliarsi un suo spazio in
Eritrea (1885) e in parte della Somalia (1889), ma con meno fortuna.
La politica espansionistica richiedeva, da una parte, una
imponente forza d'armi per la conquista dei paesi da colonizzare e come forza deterrente
nei confronti delle nazioni concorrenti, dallaltra un notevole sforzo di intesa tra
i governanti conquistatori, per non danneggiarsi a vicenda: sono di questepoca la
triplice alleanza tra Italia, Austria Ungheria e Germania nel 1882, per la difesa in caso
di attacco della Francia e la duplice intesa franco russa (nel 1892); lInghilterra
faceva giri di valzer tra luna e laltra nazione.
Il Tadini è osservatore di questa realtà (se ne informava
leggendo i giornali, specialmente "Il Cittadino di Brescia"), quanto di quella
del suo paese, e ne parla apertamente alla sua gente, traendone spunto per considerazioni
e riflessioni morali.
"...La va male... -diceva- I paesi in rivoluzione, le
città scisse in partiti, fin dentro le stesse pareti il fratello odia il fratello...
Lorizzonte politico è nero, ogni giorno nuove
invenzioni darmi così micidiali, che distruggerebbero in pochi giorni lintera
umanità.
Le potenze terribilmente agguerrite stanno cupe, come
quando si guardano in brama nellistante di sbranarsi a vicenda...
La società è come un gigante infermo che si arrovella per
terra, nel furore del male dilania se stesso.
Quei grandi uomini politici, che si danno aria di
manipolare le nazioni nei loro congressi e là annunciano felicità ai popoli, li
lusingano con mille promesse mai adempiute; succedono gli uni agli altri, sempre con
illusioni di prosperità e di leghe commerciali tra paesi, e invece si va sempre di male
in peggio".
Interessante è il fatto che da queste osservazioni a
livello mondiale, il Tadini scende immediatamente, nello stesso discorso al proprio
piccolo mondo, di cui fa esperienza quotidiana e aggiunge:
"Se avete un figlio, lo potreste vedere violento in
una lite micidiale.
Ecco invece una madre che lascia crescere i suoi figli
senza educazione e senza formazione, peggiore delle bestie.
I padroni difficilmente trovano dipendenti ligi al proprio
dovere; e i dipendenti, a grave pena, trovano principali caritatevoli, giusti,
precisi".
Alle osservazioni il Tadini fa seguire valutazioni e
intenzioni operative:
"Oh! povera società umana; a quale miserabile stato
sei ridotta. E non è opera di un giorno. Da tempo si lavora a questa corruzione.
Eppure questo è il secolo del progresso, della scienza e
luomo ha tanti mezzi per essere illuminato. Eppure si vede il bene e si segue il
male. Perché? Perché il cuore è guasto [...]
Io sono convinto che il più gran bene al mondo fu fatto
dalla pietà e che la devozione opera tanti prodigi a vantaggio della umanità. Non vi è
che Dio che salva la società. Desideriamo la salvezza della società: dedichiamo prima il
nostro cuore a Gesù e vediamo di uniformarlo al suo".
Si tratta di osservazioni consuete nella visione cristiana;
ma alla luce di quanto il Tadini operò, in cerca di rimedi efficaci, per quanto egli
poté attuare, non sono per nulla scontate. Il Beato, anzi, considerò il triste
spettacolo come un appello continuo alla personale responsabilità.
Se nel nostro quadro va rappresentato il paesaggio di
Botticino, con la sua gente e il suo parroco, come si è osservato, in esso deve trovar
spazio anche la traccia delle nazioni conquistatrici e delle popolazioni fatte schiave
dallEuropa, poiché il Tadini aveva presenti tali eventi.
Dal discorso del Beato sopra riportato e
dallaccostamento delle situazioni della sua gente a quelle delle nazioni, si può
concludere che il parroco di Botticino era convinto che, migliorando il piccolo mondo
della propria parrocchia di campagna, migliorava anche il mondo più vasto.
(continua) |